Tonengo

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e direttamente dal testo (numero verde a lato tra parentesi)


A mente di quanto sostenuto da

don Pietro Solero (1)

in un manoscritto

redatto

quasi un centinaio di anni fa

sulla storia di

Tonengo

il toponimo

ha chiare origine

longobarde.

 

Questo tuttavia

non è significativo

ai fini della valutazione della sua antichità

in quanto deriva da

Tonengo d’Asti

località

da cui quasi sicuramente provenivano

i primi coloni

inviati

nel 1625

dal conte di Verrua e marchese di Rondissone e Caluso

Augusto Manfredi Scaglia

allo scopo

di

colonizzare

la parte del feudo di

Mazzè

divenuta di sua pertinenza

dopo la morte del padre. (2)


Se si è dello stesso avviso per quanto concerne l’origine del nome

le opinioni divergono

quando il

Solero

attribuisce

una continuità

tra

Tonengo

e

l’antico centro romano di san Pietro

databile al I - II secolo d.C.

un tempo situato nelle vicinanze dell’ attuale

cascina Gabriella

Borgo poi andato distrutto

probabilmente a causa delle

incursioni ungare e saracene

avvenute nel corso del

IX e X secolo d.C.


Contrariamente

a quanto recitato dalla tradizione

non è documentabile

che la chiesa di

san Pietro

sia mai stata una parrocchia.

Con la pubblicazione del

Liber Decimorum

della diocesi di

Ivrea

relativo

agli anni 1369 – 1370

e alla luce di quanto affermato da

A. Bua

sulla presenza a

Rondissone

di una cappella

risalente al

XIV secolo

l’ipotesi del

Solero

di attribuire

la pievania

di

Rondissone

alla chiesa di

san Pietro

e implicitamente a

Mazzè

risulta impraticabile.


E’ possibile che nel

1576

all’epoca della delimitazione

dei confini

tra il

marchesato del Monferrato

e il ducato di Savoia

operazione

che implicitamente

riguardava anche i termini

tra i

comuni di Mazzè

Rondissone

e

Caluso,

che a

san Pietro

fosse risorto

un piccolo abitato

che aveva ripreso

il nome medievale

di quello antico.

 

D’altronde

in una lettera inviata nel

1338

dal

principe di Acaja

al suo luogotenente di Fossano

durante una guerra contro

i conti di Mazzè

recitante

tutte le località attaccate dalle sue truppe

il principe

non cita

san Pietro

ed è quindi ovvio

che all’epoca

la borgata

aveva cessato di esistere

o era del tutto irrilevante.


Successivamente

è altresì probabile che

il conte Scaglia

abbia fatto insediare

in un primo tempo

la sua gente

proveniente da

Tonengo d’Asti

e da altri luoghi

limitrofi al suo feudo di

Verrua

a

san Pietro

per il semplice motivo

che questa località

era la più vicina a

Rondissone.

 

La data esatta

dell’arrivo

dei primi coloni monferrini

dovrebbe dunque risalire al

1625

anno in cui

il duca di Savoia Carlo Emanuele I

dopo la morte

di

Gherardo Scaglia

elevò la quota del feudo di

Mazzè

di pertinenza del figlio

il conte di Verrua e marchese di Rondissone e Caluso

Augusto Manfredo Scaglia

da uno

a

due dodicesimi.


In quel periodo

una colonizzazione fondiaria

di così vaste proporzioni

non costituiva un episodio isolato

e il gruppo di coloni

forse formato solamente

da non più di

tre o quattro famiglie

che

il conte Scaglia

inviò a stabilirsi a

san Pietro

non dimenticò mai

il nome del paese di origine

tanto che i discendenti

lo riproposero quando

un secolo dopo

migrarono gradualmente

verso il sito dove ora sorge

Tonengo.

 

A riprova

nel 1631

dopo

il trattato di Cherasco

tra i francesi di Luigi XIII

e

il duca Vittorio Amedeo I di Savoia

una simile

riqualificazione fondiaria

non era affatto eccezionale

grazie al fatto che

in tutto

il basso Canavese

si conobbe una maggior stabilità politica.

 

Similmente

gli Scaglia

misero a coltura

sempre tramite coloni disposti a trasferirsi dai luoghi di origine

anche terre incolte a

Rondissone e a Caluso.


Si potrebbe quindi affermare

che l’effettiva nascita di

Tonengo

potrebbe collocarsi attorno all’anno

1729

quando

re Vittorio Amedeo II

caduti gli Scaglia in disgrazia

dopo che il

Senato di Torino

aveva riconosciuto

che erano stati estorti

riassegnò

i feudi di Caluso e Rondissone

ai Valperga Masino

proprietari precedenti.

 

Questa evenienza

tornato similmente

il feudo di Mazzè

di completa proprietà dei

Valperga Mazzè

potrebbe aver reso possibile

la fondazione di

Tonengo

localizzando

il nuovo paese

in un sito

meno marginale

di quello di

san Pietro.


La tradizione recepita dal

Solero

parla di

trenta famiglie

originanti

dai coloni installati dal

conte Scaglia

a san Pietro

che lasciarono la località

ed andarono a fondare

Tonengo

con la conseguenza che il centro abbandonato andò in rovina e ne rimase solo il ricordo.

 

A conferma nella

mappa redatta nel l’anno 1763 dal tenente Vallino ad uso dei lavaggi auriferi di Casale,

il borgo di san Pietro

non è più segnalato.

 

D’altronde però

nel catasto

di

re Carlo Amedeo III

redatto

una trentina di anni dopo

compare il nucleo

già articolato

di quello

che può essere considerato

il centro storico del nuovo paese.

 

Da quanto risulta

il nome

Tonengo

pare sia diventato di uso comune

solo alla fine del XVIII secolo

e potrebbe essere stato usato in un primo tempo

proprio dagli abitanti di

Casale

per indicare i nuovi venuti

divenendo poi di uso generale.


Nello specifico

come si può dedurre dai toponimi

“gerbido”

“ronchi”

“moronera”

e altri

Tonengo

iniziò ad espandersi

tramite

cascine isolate

intervallate

da spazi più o meno liberi.

 

La costruzione della

Roggia di Mazzè,

e il prolungamento del

Canale di Caluso

sino alla

Reale Mandria di Chivasso

 

favorirono un notevole aumento

della resa dei terreni

e la lievitazione della popolazione.

 

Il fenomeno

fu registrato

nelle tabelle redatte dalla

Reale Intendenza di Finanza della Provincia di Ivrea

a proposito della

Gabella del Sale

e nei registri parrocchiali

tanto che nel decennio

tra il

1770 e il 1780

la popolazione

del Comune

raddoppiò

raggiungendo

più di 3000 persone.


A causa della

Rivoluzione Francese

e dell’arrivo di

Napoleone

 

alla fine del XVIII secolo

nel regno di Sardegna

i vincoli feudali

si allentarono notevolmente,

tanto da scomparire.

 

Nel caso di

Tonengo

tali vincoli

erano simbolicamente rappresentati

dai castaldi

dei conti Valperga

che percorrendo

la Via Castone

si recavano nella borgata

a esigere balzelli e ad imporre roide gratuite.

 

Nel 1792

con l’avvento del

Governo Provvisorio

a

Torino

la situazione mutò completamente:

 

coloro che erano braccianti a giornata

acquistando a prezzo politico

gli appezzamenti irrigui

facenti parte del tenimento reale

della Mandria

divennero proprietari terrieri

e mutarono in meglio

il loro status sociale

e le loro possibilità economiche.


L’ arrivo di una massiccia ondata migratoria

e la migliorata situazione

permise la costruzione a

Tonengo

di altre case,

unendo tra loro

le cascine isolate

purtroppo però

senza alcun disegno urbanistico coerente

con la conseguenza

che l’abitato

assunse la conformazione di

paese-strada

già allora decisamente incongrua

per un centro di queste dimensioni.

 

Contemporaneamente

forse anche a seguito dei nuovi tempi

oltre a godere di un discreto rinnovamento sociale ed economico

i tonenghesi

si preoccuparono

dell’ elevazione culturale

delle future generazioni

stipulando una convenzione

con il sacerdote

che curava l’assistenza religiosa

degli abitanti della borgata

per istituire a loro spese

una scuola

che provvedesse all’istruzione dei giovani.


Nello stesso periodo

la distanza dai servizi essenziali

l’aumento della popolazione

nonché l’indole degli abitanti di

Tonengo

non paragonabile

a quella

canavesana

accompagnata all’incapacità

dei maggiorenti

del Comune

di comprendere

le esigenze

del nuovo centro

che si stava consolidando,

 

iniziarono a dare luogo

a sentimenti di insofferenza

verso

Mazzè.


Dopo anni di lotte

nel 1832

l’allora cappella di

Tonengo

titolata ai

santi Francesco ed Antonio

fu elevata

dal vescovo di Ivrea

a parrocchia autonoma.

 

Terminati i festeggiamenti

le persone più avvedute del paese

si riproposero immediatamente

di costruire una chiesa

in grado di espletare le funzioni

tanto faticosamente acquisite

anche perché nel frattempo erano sorte controversie

sulla suddivisione delle competenze

e delle proprietà

con quella più antica.

 

La questione

era indubbiamente delicata

perché

l’Amministrazione comunale

del tempo

anche se stanziò un contributo di

2.000 lire

non vedeva però

di buon occhio l’iniziativa

interpretandola come

il prodromo

del tentativo

di creare

un comune autonomo.


Ad ogni buon conto nell’arco di qualche anno

furono raccolti fondi sufficienti

e si incaricarono professionisti

della redazione

del progetto di una nuova chiesa

scegliendo infine

quello redatto dall’ architetto Clerico

principalmente

perché prevedeva

la spesa di sole

12.000 lire.

 

I lavori,

iniziati nel 1857,

terminarono nel 1861

dando luogo alla costruzione di

un tempio a croce latina

che ha il merito

di rappresentare degnamente

la comunità di intenti

che a quel tempo

gli abitanti di

Tonengo

riuscirono ad esprimere.

 

Sentimento presente ancora oggi.


All’interno della

chiesa, poi titolata al solo san Francesco d’ Assisi

si possono ammirare opere di discreta fattura dei pittori ottocenteschi

Agostino Visetti e Francesco Salvetti

nonché lavori dello scultore

Giovanni Cappone.

 

Di buona fattura

l’organo a canne della ditta Vigezzi

 

A destra dell’entrata principale è collocata

una statua di san Rocco

mentre quella raffigurante

san Francesco

è collocata in una nicchia laterale.


Il 5 dicembre 1899

si assistette purtroppo a

Tonengo

ad un gravissimo fatto di sangue:

 

il signor

Carlo Cuccatto,

sindaco del Comune di Mazzè

fu proditoriamente ucciso da un balordo a causa di futili motivi.

 

La cronaca del delitto

è ancor viva nella borgata

tanto che nel

1999

in occasione del centenario del tragico evento

i pronipoti

fecero apporre una

seconda lapide a ricordo del loro parente (3).


A distanza di quasi un secolo

dalla nascita dei primi sintomi di insofferenza

verso il capoluogo

nei primi decenni del XX secolo

il sentimento raggiunse dimensioni tali

da indurre la popolazione di

Tonengo

a finanziare la costruzione di un palazzotto

da adibire a municipio

dell’auspicato nuovo comune.

(l'edificio

assunse poi

la denominazione di

"Casa del fuoco"

ed attualmente

è adibito

ad ospitare

sedi di associazioni

nonchè l'ambulatorio di Tonengo)

 

 

Pur non condividendo

le affermazioni

a nostro parere eccessive del

Solero

che nel suo manoscritto

quasi configura

un regime coloniale

imposto dal capoluogo

nei confronti delle frazioni

crediamo che sul fenomeno sia necessaria una riflessione.


Da una prima analisi della situazione

balza subito agli occhi

quanta scarsa coesione

esistesse

tra le due comunità

anche comprovata

dai pochissimi

matrimoni misti

avvenuti nel tempo

il che potrebbe configurare una situazione sociale molto precaria.

 

A conseguenza di ciò

nel 1945

al ritorno della democrazia

il Comune di Mazzè

dovette adottare

un singolare sistema elettorale

per effetto del quale,

nelle elezioni amministrative,

i quattro centri di

Mazzè Tonengo, Casale e Barengo

votavano

proprie liste

separate,

quasi fossero comuni diversi.


L’indole degli abitanti,

il ricordo dei balzelli

e delle roide imposte dai

conti Valperga

e per certi versi

anche il diverso tessuto socio-economico

conseguente al fatto

che l’ economia di

Mazzè

era in parte legata

ai servizi prestati

alle famiglie di nobili e borghesi

abitanti in paese

mentre nelle frazioni

era prettamente agricola,

 

innescarono una miscela

che fortunatamente non deflagrò

limitandosi a espressioni di gravità limitata.

 

Appare quindi evidente che

Tonengo

data la consistenza raggiunta

ed al fine di evitare conflitti

avrebbe dovuto godere

di una larga autonomia

rendendo possibile

uno sviluppo autonomo

dal capoluogo

cosa che però non avvenne

tanto che la diatriba

è continuata sino a tempi recenti.


Nel 1919

al termine della

Prima Guerra Mondiale

buona parte dei rimanenti terreni della

Tenuta Reale della Mandria,

ospitante durante il conflitto

prima un campo d’aviazione militare

e poi dei baraccamenti

destinati ad accogliere i

soldati polacchi

che intendevano aderire

all’Esercito Nazionale Polacco

furono lottizzati

e in gran parte

acquistati

dai tonenghesi,

ben felici dell’opportunità di accrescere i loro poderi.


Anche se

con l’avvento dell’industrializzazione

molte divergenze sono state appianate

o perlomeno dimenticate

è senz’altro possibile

che una più accentuata

forma di autonomia

avrebbe favorito

magari scoprendo

che esistevano

più interessi comuni

di quanto si poteva credere

una maggior coesione tra

Mazzè

e

Tonengo.

 

Soprattutto

non obbligando

le

Amministrazioni comunali

succedutesi

ad una estenuante

opera di mediazione

tra le esigenze

delle due comunità

favorendo così una miglior convivenza

e uno sviluppo sociale più armonico e consistente.


Attualmente

Tonengo

congiuntamente a

Casale

conta una popolazione di più di

2000 persone

senz’altro

più numerosa

di quella del capoluogo

e pare aver subìto in misura minore

del centro più antico

le conseguenze del processo

di deindustrializzazione

in atto in

Canavese.

 

Il relativamente

nuovo centro

possiede una discreta dinamica economica

tanto da far sperare

che in futuro

possa diventare

il motore dell’ economia locale.


Tra le personalità nate a

Tonengo

è doveroso ricordare,

oltre al già citato

Carlo Cuccatto

padre Vincenzo Martino Bruno

missionario

dell’ordine degli Oblati

e il suo confratello

padre Giovanni Tione.

Molto rilievo ha la figura del padre

Barnabita

Pietro Monte

nato a

Tonengo

nel 1823

e morto a Livorno

nell’anno 1888

scienziato di fama nazionale

tanto da essere considerato

uno dei

fondatori

della

meteorologia italiana.

A

Pietro Monte (4)

si deve l’istituzione

dell’asilo per l’infanzia

a lui intitolato

grazie alla donazione alla comunità di

Tonengo

di beni

di proprietà della famiglia.

 

 

 

 

Casale

Note in fondo pagina

e direttamente dal testo (numero verde a lato tra parentesi)

 

 

Casale

origina nel sito

dove la

Via Prelle (Via Campagnette) (5)

si dirama

dalla

Via Rondissone

ed è considerato socialmente ed economicamente

unito

a

Tonengo

ma a parte la continuità territoriale

i due centri non hanno nulla in comune

perché le origini di

Casale

sono nettamente diverse e molto più antiche.


Per comprendere in quale modo sia sorto

Casale

occorre ricordare

che in antico esisteva la

via militare romana tardo imperiale Quadrata – Eporedia

e che il suo tracciato

seguiva pressappoco

quello della

strada provinciale

proveniente da

Rondissone

sino a

san Pietro.

Oltre

secondo la versione più accreditata

l’itinerario

scendeva

nel vallone della

Dora Baltea

procedendo lungo il piede della scarpata

parallelamente al fiume.

 

Giunta al guado (7)

dirigeva verso

Mattiacum

allora situata

nei pressi

della chiesetta

dei santi Lorenzo e Giobbe

 

Successivamente

seguendo il tracciato della attuale

strada della Benna

superava

le colline moreniche

ed entrava nella pianura

dell’Anfiteatro Morenico d’Ivrea

al

Marmarolo

dirigendo poi verso

Eporedia.

 

E’ anche possibile ipotizzare

che la

via militare

costeggiasse per un buon tratto

il corso della

Dora Baltea

per rendere possibile

il traino delle chiatte

che risalivano la corrente

ma una simile necessità

avrebbe richiesto

la costruzione

di una strada rivierasca

già nel

II secolo d.C.

e l’eventualità non pare proponibile.


Sino a tempi recenti

era convincimento generale

che il tratto della via militare

tra

Mazzè e Quadrata (mappa in versione originale)

avesse cessato di esistere

nel VI secolo d.C.

a seguito della distruzione

di questa mansione.

Ma evidentemente

le cose andarono altrimenti

e il collegamento

continuò ad esistere anche se in forma ridotta

in quanto sul tracciato

nacquero

paesi fondati

da popolazioni

di origine barbarica

quali poi sedi di

pievanie.


Ma pur ammettendo

che in antico

esistessero

collegamenti locali tra

san Pietro

Mattiacum

e il guado sulla Dora Baltea

la notizia

confermata

dal sig. Andrea Monti all’epoca vicesindaco di Mazzè

recitante

che al tempo della costruzione della fognatura comunale

vennero alla luce in

via Rondissone

i resti di una strada basolata

rende corretto ipotizzare

un’ alternativa

all’andamento comunemente accettato della

via militare.

Ovvero

che la strada giunta a

san Pietro

non svoltasse verso la

Dora Baltea

ma raggiungesse il sito

dove in futuro sorgerà

Casale

incrociando la strada

proveniente

dal guado sulla

Dora Baltea

opportunamente restaurata

come dimostra

il tratto rettilineo

venuto alla luce in

regione Resia.


In ogni caso

nella prima metà del

XIII secolo

epoca dell’infeudamento a

Valperga

da parte

dell’imperatore

Federico II di Svevia

del borgo di

Mazzè

e di un buon tratto della

Dora Baltea

quasi contemporaneamente

il marchese di Monferrato

attribuì a loro

il feudo di

Rondissone.

 

La mutata situazione

rese quindi necessario

prolungare

l’antica via militare

sino a

Mazzè

trasferitosi da secoli

dalla piana alluvionale

alla sommità

della collina di

san Michele.

 

Nel contempo

con la costruzione del

ponte Copacij

l’attraversamento del fiume

avveniva ormai a monte di

Casale

cosicché la via

che andava al guado

sulla

Dora Baltea

andò lentamente in disuso

costringendo

il paese

a svilupparsi con la fisionomia di

paese strada

più utile

a garantire

i collegamenti

tra Mazzè e Rondissone

che a soddisfare le necessità locali.


E quindi probabile

che il primo nucleo di

Casale

risalga

a quando

la romana

san Pietro

andò distrutta

costringendo

parte dei superstiti

ad installarsi

in un luogo già noto

dove forse esistevano ancora tracce (6)

dei lavaggi auriferi di Bose.

Nel suo scritto

già varie volte citato

don Solero

propone la tesi

che forse

alcuni sopravissuti

si siano diretti anche verso

Rondissone

contribuendo alla sua fondazione.

 

Pur non potendo escluderlo

considerata l’ origine germanica

del toponimo

l’ipotesi pare poco plausibile.


Gli abitanti di

Casale

non fondarono cappelle o chiese.

 

La parrocchia di

Mattiacum

titolata a

san Lorenzo

mantenutasi in funzione sino al

1349

era facilmente raggiungibile

il che rendeva inutile

la presenza di una nuova chiesa.

 

Successivamente

questa funzione

fu svolta

dalla parrocchia foranea

di

santa Maria

e dopo

dalla parrocchiale di

Mazzè.

 

Nel 1832

al momento della creazione della

parrocchia di

Tonengo

gli abitanti di

Casale

optarono per questa

più vicina e comoda

e meno legata a ricordi feudali

iniziando quella simbiosi con

Tonengo

che prosegue ancora oggi .


Attualmente

l’unico edificio religioso

di qualche consistenza

esistente a

Casale

è la cosiddetta

cappella “del bigot” (8)

un edificio

di proprietà privata

sito in

Via Rondissone

all’inizio

dell’ espansione urbana

moderna

chiamata un po’ pomposamente

“Torino Nuovo”.

 

Ad ogni buon conto

nella mappa dell’anno

1576

già citata nel caso di

Tonengo

è già documentata

l’esistenza di

Casale

comprovata anche da una

illustrazione contemporanea.


Nella sua opera

Francesco Mondino

ricorda la tradizione

degli abitanti di

Casale

che li vuole originari

dell’antico centro romano

attorniante

san Lorenzo

abbandonato

a causa di pestilenze o di altre calamità.

 

Pur non potendolo escludere del tutto

un simile evento

è documentato

che nell’anno

1349

l’abitato di

Mattiacum

era già stato abbandonato

da molto tempo

e gli abitanti

“ si sono trasferiti nel paese di Mazzè in un momento di cui si è perso il ricordo “ (9)

 

questa tradizione

dovrebbe riferirsi

ad una origine diversa

che non è difficile

individuare in

san Pietro.

 

E’ molto probabile che

i casalesi

avendo dimenticato

l’esistenza

dell’antica strada militare

col tempo

abbiano adottato

una versione

che recitava

del loro arrivo da

san Lorenzo

perché

era stata

la loro parrocchia

e più vicina al paese moderno.

 

Ad ogni buon conto

per un verso o l’altro

questa leggenda

riconferma

un origine di

Casale

molto più antica di quella di

Tonengo.


Da ricordare

la figura di

Giovanni Decanton

storico aderente al movimento socialista

tanto da creare

presso la sua abitazione

una sezione del partito

poi distrutta

nel 1924

nel corso della repressione instaurata dal regime fascista.

 

 

 

Barengo

Note in fondo pagina

e direttamente dal testo (numero verde a lato tra parentesi)


Il nome

Barengo

compare saltuariamente

in tutto il

Canavese

ed a

Mazzè

è segnalato

per la prima volta

in un

“consignamento” (10)

del XVI secolo

per cui è probabile che

la borgata

sia nata

in questo periodo.

E’ inoltre documentata

la presenza di un

messer Stefano Barengo

in una seduta del

Consiglio Generale della Comunità di Mazzè

organismo

formato

da tutti i capi famiglia del paese

tenutasi nel

1688.

Il fatto che

Stefano Barengo

sia l’unico dei presenti

ad essere detto

messere

fa presumere

che non fosse

un contadino

ma un commerciante o

un militare.


E’ presumibile

che agli

inizi del XVII secolo

i conti Valperga

abbiano deciso nell’ambito delle riqualificazioni fondiarie

che avvenivano in quel periodo

nel

basso Canavese

di mettere a coltura

la zona sulla quale esisteva un tempo

Speratono

località deserta

dopo le distruzioni

avvenute durante le guerre

del XIV secolo.

 

Non si conosce

il motivo per cui

vennero chiamati

a ripopolare

quest’area

delle famiglie

forse provenienti dal

novarese (11),

ma è possibile

che la procedura di colonizzazione

sia stata simile a quella avvenuta a

Tonengo.

 

Per quanto riguarda

l’etimologia del nome

certamente di

origine longobarda

si può ripetere

quanto affermato nel caso di

Tonengo

ovvero

che non è significativa

ai fini dell’antichità del paese.

 

Oggi

Barengo

conta circa

300 abitanti

molto probabilmente

destinati ad aumentare

grazie al suo ameno territorio

che ispira tranquillità e serenità.


Come detto

non si conosce

l’esatta epoca di fondazione di

Barengo

ma rileggendo quanto scritto da

don Carlo Rolfo

eclettico sacerdote

originario della borgata

a suo tempo parroco di

Piverone

s’intuisce chiaramente

quale metamorfosi

abbia subìto

il paese

nel corso degli anni.


“Le

cascine Motta, Palantina e Cascina Nuova

erano dirette da un fattore

il quale

aveva alle dipendenze

una guardia campestre

abitante in una casetta

ove attualmente esiste la

cascina Rivetto.

 

In questi cascinali

i conti di san Martino

di san Germano

prima

e di

san Marzano

poi

allevavano numeroso bestiame

con ben avviate industrie

di trasformazione del latte

mentre i paesani

erano braccianti a giornata

malamente retribuiti.

 

Nella cascina Motta

sino all’inizio del XX secolo

esisteva una

filanda di seta

in cui lavoravano operai

sia locali che forestieri.

 

La forza motrice della filanda

era garantita

da un salto d’acqua

prodotto da una diramazione della

Roggia di Mazzè

la stessa che sin dal

1768

contribuiva a

irrigare

le coltivazioni

della

valle della Motta.


Come si può dedurre

dalla lettura

dello scritto di

don Rolfo

 

quella di

Barengo

fu l’area del comune

in cui i

latifondi

si mantennero in vita

più a lungo

tanto che occorre giungere sino alla fine

del XIX secolo

perché si notino gli inizi

della loro scomparsa.

 

Fenomeno

che naturalmente si ripercosse

sulla stessa struttura della

società locale

provocando il lento abbandono

di forme di vita non più coerenti con i tempi.

 

All’inizio del

XX secolo

nobili e borghesi delle città

comprendendo che la gestione

di grandi tenimenti agricoli

era divenuta poco economica

e che il futuro

era l’industria

e non l’agricoltura

iniziarono a dismettere

le loro proprietà terriere

per ricavare i capitali

da investire nel nuovo settore.

 

Il conte san Martino di san Marzano

non sfuggì alla regola

e decise di vendere

le cascine di Barengo

favorendone l’acquisto

da parte della popolazione locale

trasformandola così

in piccoli proprietari terrieri.

 

Mutando lo

status sociale

e aumentata la resa dei terreni

si accrebbe

la capacità economica della popolazione

rendendo possibile

migliorare le condizioni di vita

ma introducendo una consuetudine

che tendeva a trasmettere nella famiglia

la proprietà della terra

senza frazionarla

il che precludeva

ogni possibilità di evoluzione

in senso moderno.


Come detto

quasi sicuramente

il nucleo originario di

Barengo

sorse alla fine del

XVI secolo

o all’inizio del successivo

nell’ambito delle

riqualificazioni fondiarie

già descritte per

Tonengo

congiuntamente

alla cappella

dedicata ai

santi Orso e Barnaba.

 

Nel 1729

la chiesetta fu restaurata ed ampliata a spese dei borghigiani

tanto che nel

1828

don Salvetti

parroco di Mazzè

poteva scrivere:

 

La chiesa di

Barengo

è di forma antica,

quadrata,

con pavimento lastricato in mattoni

mediocremente sani e uguali.

I muri sono ben regolari

e il tetto,

a forma di vela, è ben riparato”.


Nel 1885

per merito di una convenzione tra

don Gaietti

parroco di Mazzè

ed i

capifamiglia

di

Barengo

la chiesa originaria

fu demolita

e sostituita da un nuovo edificio

dotato di campanile.

 

L’unica parte

del vecchio tempio

ancora oggi esistente

è il vano oggi usato come sagrestia.

 

Altri abbellimenti

furono eseguiti

alla fine

della seconda guerra mondiale

quali la costruzione

della cantoria

e le pitture opera del

Comoglio

artista locale di buon nome.

 

Non è chiaro

se la chiesa dei

santi Orso e Barnaba

abbia mai avuto

un cappellano fisso

forse alcuni sacerdoti

vi prestarono servizio

alla fine della loro carriera

perché originari del posto

ma in genere

le funzioni religiose

vennero sempre officiate

dai parroci di Mazzè.


Quali personalità

originarie di

Barengo

si può citare il

prof. Antonio Barengo

docente al

liceo di Ivrea

e

sindaco di Mazzè

nell’anno 1945

 

e l’avvocato Luigi Valle

personaggio citato dal

Bertolotti

vissuto tra la fine

del XVIII secolo

e l’inizio del successivo

probabilmente originario di

Barengo.

 

E’ possibile che

l’avv. Valle

fosse di sentimenti

giacobini

tanto da svolgere

le funzioni di notaio

in epoca napoleonica

e forse

fu il proprietario dell’

“Enciclopedia”

stampata a

Ginevra

negli anni 1777- 1778

da Diderot e D’Alembert (12),

ora custodita nella

Biblioteca parrocchiale di Mazzè.

 

 

 

Note

 
 
 


1) Don Pietro Solero è stato cappellano militare e maggiore degli Alpini. Nato a Casale di Mazzè nel 1911 è morto all’ospedale militare di Torino nel 1973. Personaggio eclettico e ottimo fotografo di montagna, in gioventù si dedicò a ricerche archeologiche nella zona di san Pietro, scrivendo nel 1933 “Appunti sulla storia di Tonengo”, manoscritto purtroppo giunto a noi incompleto. Il documento è custodito dal C.A.I. di Rivarolo, al quale sono andate tutte le carte del Solero al momento della morte ed è stato pubblicato sul sito web www.mattiaca.it.

 


2) “ Questa borgata non aveva prima del 1600 alcun nome e il nome Tonengo non venne che verso il 1630, e in modo assai strano. Da Tonengo, paese situato sulle colline del Monferrato, credesi con giusta ragione essere venuto il nome del nostro paese”. Nel 1613 Augusto Manfredo Scaglia durante la Prima Guerra di Successione del Monferrato, capitanò le truppe savoiarde nell’assalto a Moncalvo. Forse per questo motivo il 6 giungo 1613 il padre di questi Gherardo Scaglia fu infeudato dal duca di Savoia Carlo Emanuele I di un dodicesimo del feudo di Mazzè, probabilmente alienato dai Valperga in difficoltà economica. Quota poi elevata dallo stesso duca a due dodicesimi il 4 febbraio 1625, al momento dell’infeudamento del figlio, nel frattempo divenuto anche marchese di Rondissone e Caluso . E’ quindi più che probabile che gli Scaglia abbiano fatto trasferire della loro gente originaria del Monferrato, verso le terre che intendevano porre a coltura a Mazzè e a Rondissone.

 


3) Dell’uccisione del sindaco Carlo Cuccatto esiste un chiaro ricordo in paese, tanto che è stato possibile ricostruire una cronaca del misfatto. Nei pressi del luogo dove avvenne il delitto ricordato da due lapidi commemorative, abitava un balordo chiamato popolarmente “Al Rat” il topo. Alla morte della madre il Rat, forse per non pagare le spese del funerale, decise di seppellirne la salma in cortile. Il sindaco Cuccatto, venuto a conoscenza dell’incredibile vicenda, convocò il balordo sia per metterlo davanti alle sue responsabilità che per redarguirlo per la scarsa pietà dimostrata nei confronti della madre. Il Rat, urtato dal rimprovero, la sera stessa tese un agguato al Cuccatto e lo uccise con un colpo del suo trombone caricato a chiodi. Successivamente il delinquente, diventato un bandito a tutti gli effetti, iniziò a scorrere il circondario compiendo ogni sorta di efferatezze. Dopo vario tempo i Carabinieri, venuti a conoscenza dove l’ambiguo personaggio si nascondeva, lo bloccarono, iniziando un conflitto a fuoco per catturarlo. La vicenda ebbe un epilogo tragico perché per stanarlo un carabiniere espose il suo cappello oltre il riparo in cui era rifugiato e il Rat, nel tentativo di colpirlo, si espose e fu freddato da un altro militare. La storia ebbe un seguito in quanto negli ultimi decenni del XX secolo, la casa del Rat fu demolita per far posto ad un nuovo edificio, e tra le macerie fu ritrovato un sacco contenente il frutto delle rapine del bandito. Purtroppo per gli scopritori il bottino era rappresentato da biglietti di banca ormai fuori corso.

 


4) Fabrizio Dassano – Pietro Monte, scienziato, insegnante e fondatore dell’Asilo di Tonengo.

 


5) Per Via Prelle si intende la strada che si diparte da Via Rondissone al centro di Casale e conduce alla località Prelle.

 


6) Nella sua opera il Solero afferma tra l’altro che “ Scavando alcuni anni or sono, cioè nel 1927, per fabbricare l’alveo del Canale nuovo presso il campo del sig. Solero Pietro, alla profondità di un metro e mezzo si rinvenne la bocca di un forno, alcuni focolari, e alcuni oggetti che sempre più attestano le affermazioni sopracitate ” . Tempo addietro durante lo scavo delle fondazioni per l’ampliamento della casa di Via Rondissone appartenente al geom. Giuseppe Eusebio si rinvenne la bocca di un forno alla stessa profondità detta dal Solero e apparentemente con le stesse caratteristiche.

 


7) Il basolato della strada romana che conduceva al guado sulla Dora Baltea fu uno dei primi ritrovamenti effettuati dall’ associazione F. Mondino, probabilmente facilitato dal fatto che il passaggio fu usato sino al momento della edificazione del ponte sulla provinciale, divenendo poi un comodo accesso al fiume per cavare sabbia. Come anche ricordato dall’Azario, sin dall’epoca celta questo guado fu l’unico passaggio sulla Dora Baltea tra Ivrea ed il Po, da qui la sua importanza. Ricordando che fino alla costruzione dello sbarramento gestito dal Consorzio Irriguo di Chivasso il fiume si sdoppiava in due rami creando un isolotto, è possibile che in epoca romana la struttura del guado sia anche servita d’attracco per i natanti che navigavano verso Eporedia o Industria. A causa del deposito di materiale favorito dallo sbarramento a valle, all’epoca della costruzione della strada militare il corso della Dora Baltea doveva essere più basso dell’attuale, e sfortunatamente non è possibile verificare se nel greto del fiume fu costruita una qualche pavimentazione per favorire il passaggio. Recentemente si è potuto chiarire che sulla riva opposta della Dora Baltea esisteva una strada, ora in disuso, che conduceva al guado chiamata “Strada comunale del Valpergando”. Poiché per Valpergato si intendevano le terre soggette ai Valperga, è facile dedurre che quella strada, guadato il fiume, conducesse a Mazzè, loro possedimento.

 

8) Nei primi anni del XX secolo la famiglia proprietaria dello spiazzo su cui ora sorge la cappella dal Bigot fu colpita da una immane sciagura: i tre figli della coppia morirono in giovane età a causa di un avvelenamento creduto in primo tempo provocato da funghi, e poi successivamente attribuito alla padella di rame nella quale erano stato cotti. La madre, sconvolta dal dolore, fece allora voto alla Vergine che se, anche se non più in età (aveva 42 anni) avesse potuto ancora avere un figlio, avrebbe fatto edificare a sue spese una cappella. Fortunatamente il desiderio della sfortunata madre si realizzò e grazie alla vendita di una giornata di terreno, la cappella fu edificata assumendo poi la denominazione “del Bigot”a causa delle pie incombenze a cui si assoggettò il nascituro durante la sua vita.

 


9) Nel 1349 la chiesa di san Lorenzo, già citata in un documento del 1238, venne unita provvisoriamente a quella di san Gervasio, a motivo che era “dirupta” (diroccata) ed il sito era ormai disabitato perché “iam dudum propter guerrarum pericola”(così ridotto a causa dei pericoli della guerra) e i parrocchiani “se trastulerunt in villa Mazadii ab eo tempore euius memoria non esistit” (si trasferirono nel paese di Mazzè in un tempo di cui non esiste più memoria) tanto che le rendite della chiesa erano “tenues et exilles” (tenui ed esili), non più sufficienti al mantenimento di un rettore.

 


10) Il consignamento era una sorta di denunzia a scopi fiscali dei beni posseduti dei vari particolari residenti nel feudo. Il consignamento veniva eseguito in date prestabilite oppure al subentro di un nuovo signore.

 


11) Nella provincia di Novara esiste l’antico borgo di Barengo, nel medioevo di proprietà dei conti di Pombia, stirpe di origine anscarica forse lontanamente affine a quella dei conti Valperga. Presumibilmente questo è il luogo da cui provengono le famiglie dotate di questo cognome. A titolo di testimonianza tra la gente di Barengo esiste una tradizione che indica i loro antenati come provenienti da Rondissone, ipotesi avvalorata anche dalla conferma avutane da una persona con lo stesso cognome residente a Tonengo.

 


12) L’ Enciclopedia (Dizionario delle scienze, delle arti e dei mestieri) di Denis Diderot (1713 – 1784) e Jean Le Rond D’Alembert (1714 – 1783) conservata nella biblioteca della canonica della parrocchia di Mazzè è l’edizione stampata a Ginevra nel 1777-1778. In origine era composta da 39 volumi, ma purtroppo alcuni sono andati persi. Al tempo aveva un costo di 372 Lire, una somma che avrebbe reso possibile ad una famiglia di quattro persone vivere dignitosamente per sei mesi.

 

 

 

Notizie tratte dal libro di Livio Barengo “ Mazzè, la porta del Canavese”