Note in fondo pagina
e direttamente dal testo (numero verde a lato tra parentesi)
A mente di quanto sostenuto da
in un manoscritto
redatto
quasi un centinaio di anni fa
sulla storia di
Tonengo
il toponimo
ha chiare origine
Questo tuttavia
non è significativo
ai fini della valutazione della sua antichità
in quanto deriva da
località
da cui quasi sicuramente provenivano
i primi coloni
inviati
nel 1625
dal conte di Verrua e marchese di Rondissone e Caluso
Augusto Manfredi Scaglia
allo scopo
di
colonizzare
la parte del feudo di
Mazzè
divenuta di sua pertinenza
dopo la morte del padre. (2)
Se si è dello stesso avviso per quanto concerne l’origine del nome
le opinioni divergono
quando il
Solero
attribuisce
una continuità
tra
Tonengo
e
databile al I - II secolo d.C.
un tempo situato nelle vicinanze dell’ attuale
Borgo poi andato distrutto
probabilmente a causa delle
incursioni ungare e saracene
avvenute nel corso del
IX e X secolo d.C.
Contrariamente
a quanto recitato dalla tradizione
non è documentabile
che la chiesa di
san Pietro
sia mai stata una parrocchia.
Con la pubblicazione del
Liber Decimorum
della diocesi di
Ivrea
relativo
agli anni 1369 – 1370
e alla luce di quanto affermato da
A. Bua
sulla presenza a
Rondissone
di una cappella
risalente al
XIV secolo
l’ipotesi del
Solero
di attribuire
la pievania
di
Rondissone
alla chiesa di
san Pietro
e implicitamente a
Mazzè
risulta impraticabile.
E’ possibile che nel
1576
che a
san Pietro
fosse risorto
un piccolo abitato
che aveva ripreso
il nome medievale
di quello antico.
D’altronde
in una lettera inviata nel
1338
dal
principe di Acaja
al suo luogotenente di Fossano
durante una guerra contro
i conti di Mazzè
recitante
tutte le località attaccate dalle sue truppe
il principe
non cita
san Pietro
ed è quindi ovvio
che all’epoca
la borgata
aveva cessato di esistere
o era del tutto irrilevante.
Successivamente
è altresì probabile che
il conte Scaglia
abbia fatto insediare
in un primo tempo
la sua gente
proveniente da
Tonengo d’Asti
e da altri luoghi
limitrofi al suo feudo di
Verrua
a
san Pietro
per il semplice motivo
che questa località
era la più vicina a
Rondissone.
La data esatta
dell’arrivo
dei primi coloni monferrini
dovrebbe dunque risalire al
1625
anno in cui
il duca di Savoia Carlo Emanuele I
dopo la morte
di
Gherardo Scaglia
elevò la quota del feudo di
Mazzè
di pertinenza del figlio
il conte di Verrua e marchese di Rondissone e Caluso
Augusto Manfredo Scaglia
da uno
a
due dodicesimi.
In quel periodo
una colonizzazione fondiaria
di così vaste proporzioni
non costituiva un episodio isolato
e il gruppo di coloni
forse formato solamente
da non più di
tre o quattro famiglie
che
il conte Scaglia
inviò a stabilirsi a
san Pietro
non dimenticò mai
il nome del paese di origine
tanto che i discendenti
lo riproposero quando
un secolo dopo
migrarono gradualmente
verso il sito dove ora sorge
A riprova
nel 1631
dopo
tra i francesi di Luigi XIII
e
il duca Vittorio Amedeo I di Savoia
una simile
riqualificazione fondiaria
non era affatto eccezionale
grazie al fatto che
in tutto
il basso Canavese
si conobbe una maggior stabilità politica.
Similmente
gli Scaglia
misero a coltura
sempre tramite coloni disposti a trasferirsi dai luoghi di origine
anche terre incolte a
Rondissone e a Caluso.
Si potrebbe quindi affermare
che l’effettiva nascita di
Tonengo
potrebbe collocarsi attorno all’anno
1729
quando
re Vittorio Amedeo II
caduti gli Scaglia in disgrazia
dopo che il
Senato di Torino
aveva riconosciuto
che erano stati estorti
riassegnò
i feudi di Caluso e Rondissone
ai Valperga Masino
proprietari precedenti.
Questa evenienza
tornato similmente
il feudo di Mazzè
di completa proprietà dei
Valperga Mazzè
potrebbe aver reso possibile
la fondazione di
Tonengo
localizzando
il nuovo paese
in un sito
meno marginale
di quello di
san Pietro.
La tradizione recepita dal
Solero
parla di
trenta famiglie
originanti
dai coloni installati dal
conte Scaglia
a san Pietro
che lasciarono la località
ed andarono a fondare
Tonengo
con la conseguenza che il centro abbandonato andò in rovina e ne rimase solo il ricordo.
A conferma nella
il borgo di san Pietro
non è più segnalato.
D’altronde però
nel catasto
di
re Carlo Amedeo III
redatto
una trentina di anni dopo
compare il nucleo
già articolato
di quello
che può essere considerato
il centro storico del nuovo paese.
Da quanto risulta
il nome
Tonengo
pare sia diventato di uso comune
solo alla fine del XVIII secolo
e potrebbe essere stato usato in un primo tempo
proprio dagli abitanti di
Casale
per indicare i nuovi venuti
divenendo poi di uso generale.
Nello specifico
come si può dedurre dai toponimi
“gerbido”
“ronchi”
“moronera”
e altri
Tonengo
iniziò ad espandersi
tramite
cascine isolate
intervallate
da spazi più o meno liberi.
La costruzione della
e il prolungamento del
sino alla
favorirono un notevole aumento
della resa dei terreni
e la lievitazione della popolazione.
Il fenomeno
fu registrato
nelle tabelle redatte dalla
Reale Intendenza di Finanza della Provincia di Ivrea
a proposito della
Gabella del Sale
e nei registri parrocchiali
tanto che nel decennio
tra il
1770 e il 1780
la popolazione
del Comune
raddoppiò
raggiungendo
più di 3000 persone.
A causa della
Rivoluzione Francese
e dell’arrivo di
Napoleone
alla fine del XVIII secolo
nel regno di Sardegna
i vincoli feudali
si allentarono notevolmente,
tanto da scomparire.
Nel caso di
Tonengo
tali vincoli
erano simbolicamente rappresentati
dai castaldi
dei conti Valperga
che percorrendo
la Via Castone
si recavano nella borgata
a esigere balzelli e ad imporre roide gratuite.
Nel 1792
con l’avvento del
Governo Provvisorio
a
Torino
la situazione mutò completamente:
coloro che erano braccianti a giornata
acquistando a prezzo politico
gli appezzamenti irrigui
facenti parte del tenimento reale
della Mandria
divennero proprietari terrieri
e mutarono in meglio
il loro status sociale
e le loro possibilità economiche.
L’ arrivo di una massiccia ondata migratoria
e la migliorata situazione
permise la costruzione a
Tonengo
di altre case,
unendo tra loro
le cascine isolate
purtroppo però
senza alcun disegno urbanistico coerente
con la conseguenza
che l’abitato
assunse la conformazione di
paese-strada
già allora decisamente incongrua
per un centro di queste dimensioni.
Contemporaneamente
forse anche a seguito dei nuovi tempi
oltre a godere di un discreto rinnovamento sociale ed economico
i tonenghesi
si preoccuparono
dell’ elevazione culturale
delle future generazioni
stipulando una convenzione
con il sacerdote
che curava l’assistenza religiosa
degli abitanti della borgata
per istituire a loro spese
una scuola
che provvedesse all’istruzione dei giovani.
Nello stesso periodo
la distanza dai servizi essenziali
l’aumento della popolazione
nonché l’indole degli abitanti di
Tonengo
non paragonabile
a quella
canavesana
accompagnata all’incapacità
dei maggiorenti
del Comune
di comprendere
le esigenze
del nuovo centro
che si stava consolidando,
iniziarono a dare luogo
a sentimenti di insofferenza
verso
Mazzè.
Dopo anni di lotte
nel 1832
l’allora cappella di
Tonengo
titolata ai
santi Francesco ed Antonio
fu elevata
dal vescovo di Ivrea
a parrocchia autonoma.
Terminati i festeggiamenti
le persone più avvedute del paese
si riproposero immediatamente
in grado di espletare le funzioni
tanto faticosamente acquisite
anche perché nel frattempo erano sorte controversie
sulla suddivisione delle competenze
e delle proprietà
con quella più antica.
La questione
era indubbiamente delicata
perché
l’Amministrazione comunale
del tempo
anche se stanziò un contributo di
2.000 lire
non vedeva però
di buon occhio l’iniziativa
interpretandola come
il prodromo
del tentativo
di creare
un comune autonomo.
Ad ogni buon conto nell’arco di qualche anno
furono raccolti fondi sufficienti
e si incaricarono professionisti
della redazione
scegliendo infine
quello redatto dall’ architetto Clerico
principalmente
perché prevedeva
la spesa di sole
12.000 lire.
I lavori,
iniziati nel 1857,
terminarono nel 1861
dando luogo alla costruzione di
che ha il merito
di rappresentare degnamente
la comunità di intenti
che a quel tempo
gli abitanti di
Tonengo
riuscirono ad esprimere.
Sentimento presente ancora oggi.
All’interno della
si possono ammirare opere di discreta fattura dei pittori ottocenteschi
Agostino Visetti e Francesco Salvetti
nonché lavori dello scultore
Giovanni Cappone.
Di buona fattura
A destra dell’entrata principale è collocata
una statua di san Rocco
mentre quella raffigurante
san Francesco
è collocata in una nicchia laterale.
Il 5 dicembre 1899
si assistette purtroppo a
Tonengo
ad un gravissimo fatto
di sangue:
il signor
sindaco
del Comune di Mazzè
La cronaca del delitto
è ancor viva nella borgata
tanto che nel
1999
in occasione del centenario
del tragico evento
i pronipoti
fecero apporre una
A distanza di quasi un secolo
dalla nascita dei primi sintomi di insofferenza
verso il capoluogo
nei primi decenni del XX secolo
il sentimento raggiunse dimensioni tali
da indurre la popolazione di
Tonengo
dell’auspicato nuovo comune.
(l'edificio
assunse poi
la denominazione di
"Casa del fuoco"
ed attualmente
è adibito
ad ospitare
sedi di associazioni
nonchè l'ambulatorio di Tonengo)
Pur non condividendo
le affermazioni
a nostro parere eccessive del
Solero
che nel suo manoscritto
quasi configura
un regime coloniale
imposto dal capoluogo
nei confronti delle frazioni
crediamo che sul fenomeno sia necessaria una riflessione.
Da una prima analisi della situazione
balza subito agli occhi
quanta scarsa coesione
esistesse
tra le due comunità
anche comprovata
dai pochissimi
matrimoni misti
avvenuti nel tempo
il che potrebbe configurare una situazione sociale molto precaria.
A conseguenza di ciò
nel 1945
al ritorno della democrazia
il Comune di Mazzè
dovette adottare
un singolare sistema elettorale
per effetto del quale,
nelle elezioni amministrative,
i quattro centri di
Mazzè Tonengo, Casale e Barengo
votavano
proprie liste
separate,
quasi fossero comuni diversi.
L’indole degli abitanti,
il ricordo dei balzelli
e delle roide imposte dai
conti Valperga
e per certi versi
anche il diverso tessuto socio-economico
conseguente al fatto
che l’ economia di
Mazzè
era in parte legata
ai servizi prestati
alle famiglie di nobili e borghesi
abitanti in paese
mentre nelle frazioni
era prettamente agricola,
innescarono una miscela
che fortunatamente non deflagrò
limitandosi a espressioni di gravità limitata.
Appare quindi evidente che
Tonengo
data la consistenza raggiunta
ed al fine di evitare conflitti
avrebbe dovuto godere
di una larga autonomia
rendendo possibile
uno sviluppo autonomo
dal capoluogo
cosa che però non avvenne
tanto che la diatriba
è continuata sino a tempi recenti.
Nel 1919
al termine della
Prima Guerra Mondiale
buona parte dei rimanenti terreni della
ospitante durante il conflitto
prima un campo d’aviazione militare
e poi dei baraccamenti
destinati ad accogliere i
soldati polacchi
che intendevano aderire
all’Esercito Nazionale Polacco
furono lottizzati
e in gran parte
acquistati
dai tonenghesi,
ben felici dell’opportunità di accrescere i loro poderi.
Anche se
con l’avvento dell’industrializzazione
molte divergenze sono state appianate
o perlomeno dimenticate
è senz’altro possibile
che una più accentuata
forma di autonomia
avrebbe favorito
magari scoprendo
che esistevano
più interessi comuni
di quanto si poteva credere
una maggior coesione tra
Mazzè
e
Tonengo.
Soprattutto
non obbligando
le
Amministrazioni comunali
succedutesi
ad una estenuante
opera di mediazione
tra le esigenze
delle due comunità
favorendo così una miglior convivenza
e uno sviluppo sociale più armonico e consistente.
Attualmente
Tonengo
congiuntamente a
Casale
conta una popolazione di più di
2000 persone
senz’altro
più numerosa
di quella del capoluogo
e pare aver subìto in misura minore
del centro più antico
le conseguenze del processo
di deindustrializzazione
in atto in
Canavese.
Il relativamente
nuovo centro
possiede una discreta dinamica economica
tanto da far sperare
che in futuro
possa diventare
il motore dell’ economia locale.
Tra le personalità nate a
Tonengo
è doveroso ricordare,
oltre al già citato
Carlo Cuccatto
padre Vincenzo Martino Bruno
missionario
dell’ordine degli Oblati
e il suo confratello
padre Giovanni Tione.
Molto rilievo ha la figura del padre
Barnabita
Pietro Monte
nato a
Tonengo
nel 1823
e morto a Livorno
nell’anno 1888
scienziato di fama nazionale
tanto da essere considerato
uno dei
fondatori
della
meteorologia italiana.
A
Pietro Monte (4)
si deve l’istituzione
dell’asilo per l’infanzia
a lui intitolato
grazie alla donazione alla comunità di
Tonengo
di beni
di proprietà della famiglia.
Note in fondo pagina
e direttamente dal testo (numero verde a lato tra parentesi)
Casale
origina nel sito
dove la
si dirama
dalla
Via Rondissone
ed è considerato socialmente ed economicamente
unito
a
Tonengo
ma a parte la continuità territoriale
i due centri non hanno nulla in comune
perché le origini di
Casale
sono nettamente diverse e molto più antiche.
Per comprendere in quale modo sia sorto
Casale
occorre ricordare
che in antico esisteva la
e che il suo tracciato
seguiva pressappoco
quello della
strada provinciale
proveniente da
Rondissone
sino a
Oltre
secondo la versione più accreditata
l’itinerario
scendeva
nel vallone della
Dora Baltea
procedendo lungo il piede della scarpata
parallelamente al fiume.
Giunta al guado (7)
dirigeva verso
Mattiacum
allora situata
nei pressi
della chiesetta
dei santi Lorenzo e Giobbe
Successivamente
seguendo il tracciato della attuale
strada della Benna
superava
le colline moreniche
ed entrava nella pianura
dell’Anfiteatro Morenico d’Ivrea
al
Marmarolo
dirigendo poi verso
Eporedia.
E’ anche possibile ipotizzare
che la
via militare
costeggiasse per un buon tratto
il corso della
Dora Baltea
per rendere possibile
il traino delle chiatte
che risalivano la corrente
ma una simile necessità
avrebbe richiesto
la costruzione
di una strada rivierasca
già nel
II secolo d.C.
e l’eventualità non pare proponibile.
Sino a tempi recenti
era convincimento generale
che il tratto della via militare
tra
avesse cessato di esistere
nel VI secolo d.C.
a seguito della distruzione
di questa mansione.
Ma evidentemente
le cose andarono altrimenti
e il collegamento
continuò ad esistere anche se in forma ridotta
in quanto sul tracciato
nacquero
paesi fondati
da popolazioni
di origine barbarica
quali poi sedi di
pievanie.
Ma pur ammettendo
che in antico
esistessero
collegamenti locali tra
Mattiacum
e il guado sulla Dora Baltea
la notizia
confermata
dal sig. Andrea Monti all’epoca vicesindaco di Mazzè
recitante
che al tempo della costruzione della fognatura comunale
vennero alla luce in
via Rondissone
i resti di una strada basolata
rende corretto ipotizzare
un’ alternativa
all’andamento comunemente accettato della
via militare.
Ovvero
che la strada giunta a
san Pietro
non svoltasse verso la
Dora Baltea
ma raggiungesse il sito
dove in futuro sorgerà
Casale
incrociando la strada
proveniente
dal guado sulla
Dora Baltea
opportunamente restaurata
come dimostra
il tratto rettilineo
venuto alla luce in
regione Resia.
In ogni caso
nella prima metà del
XIII secolo
epoca dell’infeudamento a
Valperga
da parte
dell’imperatore
Federico II di Svevia
del borgo di
Mazzè
e di un buon tratto della
Dora Baltea
quasi contemporaneamente
il marchese di Monferrato
attribuì a loro
il feudo di
Rondissone.
La mutata situazione
rese quindi necessario
prolungare
l’antica via militare
sino a
Mazzè
trasferitosi da secoli
dalla piana alluvionale
alla sommità
della collina di
san Michele.
Nel contempo
con la costruzione del
l’attraversamento del fiume
avveniva ormai a monte di
Casale
cosicché la via
che andava al guado
sulla
Dora Baltea
andò lentamente in disuso
costringendo
il paese
a svilupparsi con la fisionomia di
paese strada
più utile
a garantire
i collegamenti
tra Mazzè e Rondissone
che a soddisfare le necessità locali.
E quindi probabile
che il primo nucleo di
Casale
risalga
a quando
la romana
san Pietro
andò distrutta
costringendo
parte dei superstiti
ad installarsi
in un luogo già noto
dove forse esistevano ancora tracce (6)
dei lavaggi auriferi di Bose.
Nel suo scritto
già varie volte citato
don Solero
propone la tesi
che forse
alcuni sopravissuti
si siano diretti anche verso
Rondissone
contribuendo alla sua fondazione.
Pur non potendo escluderlo
considerata l’ origine germanica
del toponimo
l’ipotesi pare poco plausibile.
Gli abitanti di
Casale
non fondarono cappelle o chiese.
La parrocchia di
Mattiacum
titolata a
san Lorenzo
mantenutasi in funzione sino al
1349
era facilmente raggiungibile
il che rendeva inutile
la presenza di una nuova chiesa.
Successivamente
questa funzione
fu svolta
dalla parrocchia foranea
di
santa Maria
e dopo
dalla parrocchiale di
Mazzè.
Nel 1832
al momento della creazione della
parrocchia di
Tonengo
gli abitanti di
Casale
optarono per questa
più vicina e comoda
e meno legata a ricordi feudali
iniziando quella simbiosi con
Tonengo
che prosegue ancora oggi .
Attualmente
l’unico edificio religioso
di qualche consistenza
esistente a
Casale
è la cosiddetta
cappella “del bigot” (8)
un edificio
di proprietà privata
sito in
Via Rondissone
all’inizio
dell’ espansione urbana
moderna
chiamata un po’ pomposamente
“Torino Nuovo”.
Ad ogni buon conto
comprovata anche da una
illustrazione contemporanea.
Nella sua opera
Francesco Mondino
ricorda la tradizione
degli abitanti di
Casale
che li vuole originari
dell’antico centro romano
attorniante
san Lorenzo
abbandonato
a causa di pestilenze o di altre calamità.
Pur non potendolo escludere del tutto
un simile evento
è documentato
che nell’anno
1349
l’abitato di
Mattiacum
era già stato abbandonato
da molto tempo
e gli abitanti
“ si sono trasferiti nel paese di Mazzè in un momento di cui si è perso il ricordo “ (9)
questa tradizione
dovrebbe riferirsi
ad una origine diversa
che non è difficile
individuare in
san Pietro.
E’ molto probabile che
i casalesi
avendo dimenticato
l’esistenza
dell’antica strada militare
col tempo
abbiano adottato
una versione
che recitava
del loro arrivo da
san Lorenzo
perché
era stata
la loro parrocchia
e più vicina al paese moderno.
Ad ogni buon conto
per un verso o l’altro
questa leggenda
riconferma
un origine di
Casale
molto più antica di quella di
Tonengo.
Da ricordare
la figura di
Giovanni Decanton
storico aderente al movimento socialista
tanto da creare
presso la sua abitazione
una sezione del partito
poi distrutta
nel 1924
nel corso della repressione instaurata dal regime fascista.
Note in fondo pagina
e direttamente dal testo (numero verde a lato tra parentesi)
Il nome
Barengo
compare saltuariamente
in tutto il
Canavese
ed a
Mazzè
è segnalato
per la prima volta
in un
“consignamento” (10)
del XVI secolo
per cui è probabile che
la borgata
sia nata
in questo periodo.
E’ inoltre documentata
la presenza di un
messer Stefano Barengo
in una seduta del
Consiglio Generale della Comunità di Mazzè
organismo
formato
da tutti i capi famiglia del paese
tenutasi nel
1688.
Il fatto che
Stefano Barengo
sia l’unico dei presenti
ad essere detto
messere
fa presumere
che non fosse
un contadino
ma un commerciante o
un militare.
E’ presumibile
che agli
inizi del XVII secolo
i conti Valperga
abbiano deciso nell’ambito delle riqualificazioni fondiarie
che avvenivano in quel periodo
nel
basso Canavese
di mettere a coltura
la zona sulla quale esisteva un tempo
località deserta
dopo le distruzioni
avvenute durante le guerre
Non si conosce
il motivo per cui
vennero chiamati
a ripopolare
quest’area
delle famiglie
forse provenienti dal
ma è possibile
che la procedura di colonizzazione
sia stata simile a quella avvenuta a
Tonengo.
Per quanto riguarda
l’etimologia del nome
certamente di
origine longobarda
si può ripetere
quanto affermato nel caso di
Tonengo
ovvero
che non è significativa
ai fini dell’antichità del paese.
Oggi
Barengo
conta circa
300 abitanti
molto probabilmente
destinati ad aumentare
grazie al suo ameno territorio
che ispira tranquillità e serenità.
Come detto
non si conosce
l’esatta epoca di fondazione di
Barengo
ma rileggendo quanto scritto da
don Carlo Rolfo
eclettico sacerdote
originario della borgata
a suo tempo parroco di
Piverone
s’intuisce chiaramente
quale metamorfosi
abbia subìto
il paese
nel corso degli anni.
“Le
erano dirette da un fattore
il quale
aveva alle dipendenze
una guardia campestre
abitante in una casetta
ove attualmente esiste la
In questi cascinali
i conti di san Martino
di san Germano
prima
e di
san Marzano
poi
allevavano numeroso bestiame
con ben avviate industrie
di trasformazione del latte
mentre i paesani
erano braccianti a giornata
malamente retribuiti.
sino all’inizio del XX secolo
esisteva una
filanda di seta
in cui lavoravano operai
sia locali che forestieri.
La forza motrice della filanda
era garantita
da un salto d’acqua
prodotto da una diramazione della
la stessa che sin dal
1768
contribuiva a
irrigare
le coltivazioni
della
Come si può dedurre
dalla lettura
dello scritto di
don Rolfo
quella di
Barengo
fu l’area del comune
in cui i
latifondi
si mantennero in vita
più a lungo
tanto che occorre giungere sino alla fine
del XIX secolo
perché si notino gli inizi
della loro scomparsa.
Fenomeno
che naturalmente si ripercosse
sulla stessa struttura della
società locale
provocando il lento abbandono
di forme di vita non più coerenti con i tempi.
All’inizio del
XX secolo
nobili e borghesi delle città
comprendendo che la gestione
di grandi tenimenti agricoli
era divenuta poco economica
e che il futuro
era l’industria
e non l’agricoltura
iniziarono a dismettere
le loro proprietà terriere
per ricavare i capitali
da investire nel nuovo settore.
Il conte san Martino di san Marzano
non sfuggì alla regola
e decise di vendere
favorendone l’acquisto
da parte della popolazione locale
trasformandola così
in piccoli proprietari terrieri.
Mutando lo
status sociale
e aumentata la resa dei terreni
si accrebbe
la capacità economica della popolazione
rendendo possibile
migliorare le condizioni di vita
ma introducendo una consuetudine
che tendeva a trasmettere nella famiglia
la proprietà della terra
senza frazionarla
il che precludeva
ogni possibilità di evoluzione
in senso moderno.
Come detto
quasi sicuramente
il nucleo originario di
Barengo
sorse alla fine del
XVI secolo
o all’inizio del successivo
nell’ambito delle
riqualificazioni fondiarie
già descritte per
Tonengo
congiuntamente
dedicata ai
Nel 1729
tanto che nel
1828
don Salvetti
parroco di Mazzè
poteva scrivere:
Barengo
è di forma antica,
quadrata,
con pavimento lastricato in mattoni
mediocremente sani e uguali.
I muri sono ben regolari
e il tetto,
a forma di vela, è ben riparato”.
Nel 1885
per merito di una convenzione tra
don Gaietti
parroco di Mazzè
ed i
capifamiglia
di
Barengo
la chiesa originaria
fu demolita
dotato di campanile.
L’unica parte
del vecchio tempio
ancora oggi esistente
è il vano oggi usato come sagrestia.
Altri abbellimenti
furono eseguiti
alla fine
della seconda guerra mondiale
quali la costruzione
della cantoria
e le pitture opera del
Comoglio
artista locale di buon nome.
Non è chiaro
abbia mai avuto
un cappellano fisso
forse alcuni sacerdoti
vi prestarono servizio
alla fine della loro carriera
perché originari del posto
ma in genere
le funzioni religiose
vennero sempre officiate
dai parroci di Mazzè.
Quali personalità
originarie di
Barengo
si può citare il
prof. Antonio Barengo
docente al
liceo di Ivrea
e
sindaco di Mazzè
nell’anno 1945
e l’avvocato Luigi Valle
personaggio citato dal
Bertolotti
vissuto tra la fine
del XVIII secolo
e l’inizio del successivo
probabilmente originario di
Barengo.
E’ possibile che
l’avv. Valle
fosse di sentimenti
giacobini
tanto da svolgere
le funzioni di notaio
in epoca napoleonica
e forse
fu il proprietario dell’
“Enciclopedia”
stampata a
Ginevra
negli anni 1777- 1778
da Diderot e D’Alembert (12),
ora custodita nella
Biblioteca parrocchiale di Mazzè.
Note
-
1) Don Pietro Solero è stato cappellano militare e maggiore degli Alpini. Nato a Casale di Mazzè nel 1911 è morto all’ospedale militare di Torino nel 1973. Personaggio eclettico e ottimo fotografo di montagna, in gioventù si dedicò a ricerche archeologiche nella zona di san Pietro, scrivendo nel 1933 “Appunti sulla storia di Tonengo”, manoscritto purtroppo giunto a noi incompleto. Il documento è custodito dal C.A.I. di Rivarolo, al quale sono andate tutte le carte del Solero al momento della morte ed è stato pubblicato sul sito web www.mattiaca.it.
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2) “ Questa borgata non aveva prima del 1600 alcun nome e il nome Tonengo non venne che verso il 1630, e in modo assai strano. Da Tonengo, paese situato sulle colline del Monferrato, credesi con giusta ragione essere venuto il nome del nostro paese”. Nel 1613 Augusto Manfredo Scaglia durante la Prima Guerra di Successione del Monferrato, capitanò le truppe savoiarde nell’assalto a Moncalvo. Forse per questo motivo il 6 giungo 1613 il padre di questi Gherardo Scaglia fu infeudato dal duca di Savoia Carlo Emanuele I di un dodicesimo del feudo di Mazzè, probabilmente alienato dai Valperga in difficoltà economica. Quota poi elevata dallo stesso duca a due dodicesimi il 4 febbraio 1625, al momento dell’infeudamento del figlio, nel frattempo divenuto anche marchese di Rondissone e Caluso . E’ quindi più che probabile che gli Scaglia abbiano fatto trasferire della loro gente originaria del Monferrato, verso le terre che intendevano porre a coltura a Mazzè e a Rondissone.
3) Dell’uccisione del sindaco Carlo Cuccatto esiste un chiaro ricordo in paese, tanto che è stato possibile ricostruire una cronaca del misfatto. Nei pressi del luogo dove avvenne il delitto ricordato da due lapidi commemorative, abitava un balordo chiamato popolarmente “Al Rat” il topo. Alla morte della madre il Rat, forse per non pagare le spese del funerale, decise di seppellirne la salma in cortile. Il sindaco Cuccatto, venuto a conoscenza dell’incredibile vicenda, convocò il balordo sia per metterlo davanti alle sue responsabilità che per redarguirlo per la scarsa pietà dimostrata nei confronti della madre. Il Rat, urtato dal rimprovero, la sera stessa tese un agguato al Cuccatto e lo uccise con un colpo del suo trombone caricato a chiodi. Successivamente il delinquente, diventato un bandito a tutti gli effetti, iniziò a scorrere il circondario compiendo ogni sorta di efferatezze. Dopo vario tempo i Carabinieri, venuti a conoscenza dove l’ambiguo personaggio si nascondeva, lo bloccarono, iniziando un conflitto a fuoco per catturarlo. La vicenda ebbe un epilogo tragico perché per stanarlo un carabiniere espose il suo cappello oltre il riparo in cui era rifugiato e il Rat, nel tentativo di colpirlo, si espose e fu freddato da un altro militare. La storia ebbe un seguito in quanto negli ultimi decenni del XX secolo, la casa del Rat fu demolita per far posto ad un nuovo edificio, e tra le macerie fu ritrovato un sacco contenente il frutto delle rapine del bandito. Purtroppo per gli scopritori il bottino era rappresentato da biglietti di banca ormai fuori corso.
5) Per Via Prelle si intende la strada che si diparte da Via Rondissone al centro di Casale e conduce alla località Prelle.
6) Nella sua opera il Solero afferma tra l’altro che “ Scavando alcuni anni or sono, cioè nel 1927, per fabbricare l’alveo del Canale nuovo presso il campo del sig. Solero Pietro, alla profondità di un metro e mezzo si rinvenne la bocca di un forno, alcuni focolari, e alcuni oggetti che sempre più attestano le affermazioni sopracitate ” . Tempo addietro durante lo scavo delle fondazioni per l’ampliamento della casa di Via Rondissone appartenente al geom. Giuseppe Eusebio si rinvenne la bocca di un forno alla stessa profondità detta dal Solero e apparentemente con le stesse caratteristiche.
7) Il basolato della strada romana che conduceva al guado sulla Dora Baltea fu uno dei primi ritrovamenti effettuati dall’ associazione F. Mondino, probabilmente facilitato dal fatto che il passaggio fu usato sino al momento della edificazione del ponte sulla provinciale, divenendo poi un comodo accesso al fiume per cavare sabbia. Come anche ricordato dall’Azario, sin dall’epoca celta questo guado fu l’unico passaggio sulla Dora Baltea tra Ivrea ed il Po, da qui la sua importanza. Ricordando che fino alla costruzione dello sbarramento gestito dal Consorzio Irriguo di Chivasso il fiume si sdoppiava in due rami creando un isolotto, è possibile che in epoca romana la struttura del guado sia anche servita d’attracco per i natanti che navigavano verso Eporedia o Industria. A causa del deposito di materiale favorito dallo sbarramento a valle, all’epoca della costruzione della strada militare il corso della Dora Baltea doveva essere più basso dell’attuale, e sfortunatamente non è possibile verificare se nel greto del fiume fu costruita una qualche pavimentazione per favorire il passaggio. Recentemente si è potuto chiarire che sulla riva opposta della Dora Baltea esisteva una strada, ora in disuso, che conduceva al guado chiamata “Strada comunale del Valpergando”. Poiché per Valpergato si intendevano le terre soggette ai Valperga, è facile dedurre che quella strada, guadato il fiume, conducesse a Mazzè, loro possedimento.
8) Nei primi anni del XX secolo la famiglia proprietaria dello spiazzo su cui ora sorge la cappella dal Bigot fu colpita da una immane sciagura: i tre figli della coppia morirono in giovane età a causa di un avvelenamento creduto in primo tempo provocato da funghi, e poi successivamente attribuito alla padella di rame nella quale erano stato cotti. La madre, sconvolta dal dolore, fece allora voto alla Vergine che se, anche se non più in età (aveva 42 anni) avesse potuto ancora avere un figlio, avrebbe fatto edificare a sue spese una cappella. Fortunatamente il desiderio della sfortunata madre si realizzò e grazie alla vendita di una giornata di terreno, la cappella fu edificata assumendo poi la denominazione “del Bigot”a causa delle pie incombenze a cui si assoggettò il nascituro durante la sua vita.
9) Nel 1349 la chiesa di san Lorenzo, già citata in un documento del 1238, venne unita provvisoriamente a quella di san Gervasio, a motivo che era “dirupta” (diroccata) ed il sito era ormai disabitato perché “iam dudum propter guerrarum pericola”(così ridotto a causa dei pericoli della guerra) e i parrocchiani “se trastulerunt in villa Mazadii ab eo tempore euius memoria non esistit” (si trasferirono nel paese di Mazzè in un tempo di cui non esiste più memoria) tanto che le rendite della chiesa erano “tenues et exilles” (tenui ed esili), non più sufficienti al mantenimento di un rettore.
10) Il consignamento era una sorta di denunzia a scopi fiscali dei beni posseduti dei vari particolari residenti nel feudo. Il consignamento veniva eseguito in date prestabilite oppure al subentro di un nuovo signore.
11) Nella provincia di Novara esiste l’antico borgo di Barengo, nel medioevo di proprietà dei conti di Pombia, stirpe di origine anscarica forse lontanamente affine a quella dei conti Valperga. Presumibilmente questo è il luogo da cui provengono le famiglie dotate di questo cognome. A titolo di testimonianza tra la gente di Barengo esiste una tradizione che indica i loro antenati come provenienti da Rondissone, ipotesi avvalorata anche dalla conferma avutane da una persona con lo stesso cognome residente a Tonengo.
12) L’ Enciclopedia (Dizionario delle scienze, delle arti e dei mestieri) di Denis Diderot (1713 – 1784) e Jean Le Rond D’Alembert (1714 – 1783) conservata nella biblioteca della canonica della parrocchia di Mazzè è l’edizione stampata a Ginevra nel 1777-1778. In origine era composta da 39 volumi, ma purtroppo alcuni sono andati persi. Al tempo aveva un costo di 372 Lire, una somma che avrebbe reso possibile ad una famiglia di quattro persone vivere dignitosamente per sei mesi.