STORIA DI MAZZE’ E DELLE SUE FRAZIONI

 

 

PREISTORIA 3.000 – 141 a.C.

STORIA ANTICA 141 a.C. – 568 d. C.

ALTO MEDIOEVO 568 – 1193 d.C.

BASSO MEDIOEVO 1193 - 1436

GRANDEZZA E DECADENZA DI MAZZE’ 1436 – 1814

EPOCA MODERNA 1814 – 2000

 

 

 

PREISTORIA 3.000 – 141 a.C.


All’inizio del III millennio a.C. genti provenienti dalle rive del Mar Nero, sicuramente venute a contatto con le civiltà Mesopotamiche, giunsero in Canavese risalendo i fiumi. Portavano con loro la notevole novità della metallurgia del rame, metallo essenziale per la costruzione delle armi dei loro guerrieri mercenari presso le città stato del Medio Oriente. Le loro tracce devono essere ricercate lungo i corsi d’acqua, luoghi ideali per tracciare sentieri e creare punti di scambio con le popolazioni locali. Fortunatamente, lungo il corso della Dora Baltea, la scoperta delle steli di Tina permette di documentare il loro passaggio ed è possibile seguire il loro cammino sino a san Martin di Corleans, dove crearono un insediamento stabile allo scopo di controllare le vie che andavano ai passi alpini.
Successivamente all’inizio del XVII secolo a.C. gruppi provenienti dall’attuale Svizzera, in possesso della metallurgia del bronzo, dopo essersi installati sulle rive del lago di Viverone diffusero l’uso di questo metallo nel Piemonte nord occidentale. Il territorio canavesano restò però praticamente disabitato quasi sino al I millennio a.C., e fu con l’arrivo dei Liguri, popolazione probabilmente non indo-europea che parlava una lingua che alcuni sostengono affine al basco, che poté vantare una qualche forma di popolamento.
Nel IV secolo a.C. si assistette all’arrivo dei celti della cultura di Hallstatt provenienti dalla Borgogna e dalla Renania. Superato il passo del Gran San Bernardo queste popolazioni migrarono prima in Valle d’Aosta e poi in Canavese e fondendosi coi Liguri diedero luogo alla popolazione celta-ligure dei Salassi. I nuovi venuti erano in possesso della tecnologia del ferro e vantavano capacità notevoli quali l’uso dell’aratro, la bonifica delle paludi a fini agricoli e la coltivazione dei giacimenti auriferi. A quell’ epoca, sicuramente allo scopo di coltivare i giacimenti auriferi di Casale di Mazzè, risale la fondazione di Mattiacu su un terrazzo fluviale della Dora Baltea in prossimità del guado sul fiume.
Ancor prima della venuta di Annibale, la pressione di Roma nei confronti delle popolazioni celta-liguri subalpine era incontenibile tanto che, occupata Vercelli, nel 143 a.C. i romani tentarono di conquistare il Canavese, venendo sconfitti disastrosamente dai Salassi nei pressi di Verolengo. L’impresa venne ripetuta nel 141 a.C. questa volta sconfiggendo i Salassi, e i romani occuparono il Canavese, tra l’altro appropriandosi dei giacimenti auriferi presenti lungo l’ Anfiteatro Morenico di Ivrea, specialmente quelli della Bessa e di Mazzè-Villareggia, sino a quel momento gestiti dai Vittimuli, popolazione celta – ligure dedita a questi lavori.


STORIA ANTICA 141 a.C. – 568 d. C.


Come loro costume i romani divisero in tre parti il territorio conquistato, assegnandone una parte alla gens Polla assegnataria della colonia, una seconda ai vinti e la terza, destinata a pascolo comune, allo Stato. Nel 100 a.C. venne fondata Eporedia (Ivrea) sul luogo dove in precedenza sorgeva la salassa Windodunum, quale capitale della pertica e, centuriato il territorio, i vincitori assegnarono i lotti migliori a veterani e coloni, mentre la coltivazione dei giacimenti auriferi divenne retaggio dei pubblicani. Nel 25 a.C., stanchi delle loro scorrerie e dei taglieggiamenti a cui erano soggetti i viaggiatori lungo la strada di fondo valle, i romani sconfissero definitivamente i Salassi dei monti vendendoli come schiavi e fondando Aosta a salvaguardia del transito verso i passi alpini. L’estrazione dell’oro alla Bessa, a Mazzè - Villareggia proseguì a vantaggio dei conquistatori sino alla seconda metà del I secolo a.C. quando, avendo Roma iniziato estrarre oro in Gallia e in Spagna a Las Médulas, per ordine del Senato le miniere aurifere italiane furono abbandonate perché poco produttive.
Nel corso del I secolo a.C. il Canavese venne pacificato e completamente romanizzato, il toponimo Mattiacu, adottando il suffisso latino diventò Mattiacum, e sorse un secondo centro abitato all’estremità meridionale del giacimento aurifero che, in mancanza di un nome latino, chiameremo San Pietro, come l’omonima chiesa sorta nell’alto medioevo. Con l’abbandono dei lavori minerari gli abitati si trasformarono in centri agricoli e, come testimonia il ritrovamento di una lapide funeraria, sorse nella piana antistante la chiesa dei santi Lorenzo e Giobbe, una villa rustica di proprietà di un seviro (magistrato) e di sua moglie Anuciona Macion. Già nel II secolo d.C., dopo consistenti lavori di regolazione del corso del fiume, la Dora Baltea divenne navigabile dal Po a Ivrea, garantendo il trasporto dei metalli estratti in Valle d’Aosta a Industria. Di conseguenza il guado di Mattiacum assunse anche le funzioni di attracco mediano per le imbarcazioni che percorrevano il corso d’acqua. Congiuntamente in tale periodo sulle colline dell’ Anfiteatro Morenico di Ivrea venne introdotto il vitigno campano Aminea Gemella, il cui vino nei secoli successivi assumerà prima il nome di Greco e poi di Erbaluce.
Nel IV secolo d.C., per fronteggiare le invasioni dei cosiddetti barbari, forse già l’imperatore Costantino I, ma più probabilmente il suo successore Flavio Valentiniano, ordinarono la costruzione di una strada militare e di ponti sul Chiusella e sulla Dora Baltea per collegare Eporedia con la mansione di Quadrata, stanziando nelle due località consistenti gruppi di cavalieri Sarmati. Nel V secolo d.C. la mansione di Quadrata venne distrutta dai Burgundi, ma la strada militare continuò la sua funzione tanto che col tempo sul suo corso nacquero i centri germanici di Rondissone e Vische e, forse, sorse il primo nucleo di Casale. Mentre l’impero si avviava alla fine, iniziò la cristianizzazione delle campagne con la creazione della diocesi di Ivrea e di pievi nei centri minori. A Mattiacum furono erette nei due centri abitati le chiese di San Pietro e San Lorenzo per la gestione delle anime della scarsa popolazione rimasta.
Contrariamente a quanto si crede normalmente, quando l’Impero Romano ebbe termine le sue strutture amministrative continuarono a esistere per quasi un secolo, privilegiando i latifondisti del ceto senatorio sia sotto il regime gotico di Teodorico che in quello Bizantino di Giustiniano. Infine nel 568 d. C. con l’arrivo dei Longobardi ogni struttura imperiale cessò di esistere e il territorio venne riorganizzato dai conquistatori in maniera completamente diversa.


ALTO MEDIOEVO 568 – 1193 d.C.


I Longobardi erano un popolo di allevatori ed organizzarono quanto conquistato in ducati senza una precisa delimitazione territoriale. Gli uomini liberi longobardi facevano parte di fare (gruppi) di carattere militare e dovevano la loro fedeltà al loro capo e non al duca nel cui territorio sorgevano le loro abitazioni. Specificatamente le località oggi aventi suffisso ‘engo’ o ‘ango’ sono di origine longobarda, a meno che il nome sia la trasposizione di un toponimo più antico come nel caso di Tonengo e Barengo. Mattiacum e San Pietro continuarono ad esistere come cascine abitate da poche famiglie, mentre il guado sulla Dora Baltea era presidiato stabilmente da guerrieri longobardi. Alla fine dell’ VIII secolo d.C. la caduta del Regno Longobardo e l’avvento dei Franchi di Carlo Magno non disturbò eccessivamente le scarse popolazioni. La gente non era più parte di un ducato longobardo ma del marchesato d’Ivrea, ma le differenze erano minime; unicamente la Chiesa assunse un rilievo maggiore, il che si tradusse con l’abbattimento di tutti i segni lasciati dalle religioni precedenti. La Stele Funeraria innalzata in epoca preistorica alla sommità della Bicocca venne divelta e precipitata nel fiume, dove verrà ritrovata 1500 anni dopo.
Nel IX e il X secolo, con il protrarsi delle scorrerie Ungare e Saracene con l’incendio di Vercelli, gli abitanti di Mattiacum e San Pietro e di altre località vicine abbandonarono le loro abitazioni esposte al saccheggio e si rifugiarono alla sommità della collina di san Michele, costruendo la fortezza dalla quale nascerà la Mazzè medievale. Sconfitti nell’anno 955 gli Ungari dall’Imperatore Ottone I di Sassonia a Lechfeld in Baviera, la situazione tornò tranquilla, ma mentre San Pietro venne in parte ripopolato probabilmente da famiglie provenienti da Rondissone, per Mattiacum solo la chiesetta di San Lorenzo ne perpetuò il ricordo.
All’inizio del secondo millennio le forse cinquanta famiglie che componevano a quel tempo la popolazione del comune risiedevano stabilmente all’interno del ricetto sulla collina di San Michele. II nome si trasformò in Maciadj, tanto che il paese fu indicato in questa maniera in un documento redatto nell’anno 1007 che rappresenta l’inizio della sua storia scritta. L’epopea di Arduino non ebbe molta rilevanza sulla vita della gente di Maciadj, e dopo la morte del re alla Fruttuaria, il marchesato di Ivrea venne prima assegnato a Olderico Manfredi, poi abolito e il governo del territorio assunto dai conti del Canavese. L’antica strada militare collegante il Po con Ivrea continuava a funzionare, tanto che a Maciadj venne costruito, o più probabilmente ricostruito, il ponte Copacij sulla Dora Baltea per garantire le comunicazioni con il vercellese.
Data la sua posizione in questi anni l’importanza del paese a livello strategico e economico aumentò notevolmente, tanto da rendere possibile a G.D. Serra di paragonare il mercato di Mazzè a quello di Rivarolo. Nell’anno 1141 il conte del Canavese Guido V e la moglie Citafiore, probabilmente in ristrettezze economiche, garantirono un mutuo concesso dal comune di Vercelli con i loro diritti sul ponte Copacij e sulla curaja (dazio) sul mercato locale.
Probabilmente la situazione economica del conte migliorò perché nell’anno 1156 il ponte Copacij venne donato dallo stesso Guido V “pro remedio anima sua” ad una congregazione di Fratelli Pontari che ne assunsero la manutenzione garantendo il transito a pellegrini e mercanti. Nell’anno 1161 Joannes de Cazago, a nome della confraternita dei Fratelli Pontari rivolse istanza al vescovo d’Ivrea per costruire un ostello atto al ricovero dei viaggiatori. Il permesso venne accordato con la clausola di non costruire torri, non gradite ai signori di Maciadj.
Con Guido V i conti del Canavese scomparvero e la casata si suddivise nei conti di Valperga, di San Martino e di Biandrate, assegnando ad ogni ramo le rispettive proprietà. Nell’anno 1193, a seguito di un accordo tra Guglielmo di Masino e Arduino Valperga, il feudo di Mazzè fu assegnato a Reinero Vaperga, figlio di Matteo il Grande, che ne diventò feudatario.


BASSO MEDIOEVO 1193 - 1436


Nell’anno 1206, considerato il notevole flusso di viaggiatori transitanti sul Pons Copacij, i Fratelli Pontari richiesero al vescovo d’Ivrea di poter costruire una chiesa, titolandola a Santa Maria Maddalena al Ponte e i suoi ruderi sono ancora oggi un esempio del romanico in Canavese. Nello stesso periodo, fuori della cinta fortificata sorsero, allo scopo di assistere senza eccessivi rischi i viaggiatori transitanti sulla Via Romea, il Borgo di Santa Maria e l’omonima chiesa. Nel XV secolo la chiesa di Santa Maria cessò le funzioni di ostello e di parrocchia foranea e prese quelle di santuario mariano per merito di un’icona raffigurante la Madonna del Latte, mentre in epoca moderna questa chiesa, romanica di origine, assunse le forme attuali. Nell’anno 1239 l’imperatore Federico II di Svevia, a fronte dei servizi resi, concesse agli eredi di Reinero Valperga il titolo di conti di Mazzè, infeudandoli del paese e della Dora Baltea nel tratto tra Vische a Saluggia. Congiuntamente all’interno del ricetto, la cappella romanica di San Gervasio, assunse le funzioni di chiesa gentilizia dei conti di Mazzè. Per merito del loro prestigio, nell’anno 1247 il marchese di Monferrato Bonifacio II infeudò a sua volta Rondissone ai conti di Mazzè, il che costrinse i Valperga a riattare l’antica via militare per favorire le comunicazioni tra i due centri a loro soggetti e nel contempo l’espansione o la nascita di Casale.
All’inizio del XIV secolo iniziarono le controversie tra i Valperga e San Martino con il pretesto che i primi erano Ghibellini ed i secondi Guelfi. In realtà la lotta era per la poca terra disponibile e si sarebbe trascinata per oltre un secolo. Nell’anno 1338 le prime fasi del conflitto ebbero il loro culmine nello scontro tra i signori di Mazzè e il principe Giacomo d’ Acaja, con la distruzione di Candia, Castiglione, Mercenasco e Rondissone, territori soggetti ai conti di Mazzè. Successivamente sia i Valperga che i San Martino organizzarono disastrose scorrerie in tutto il Canavese, a cui seguì la distruzione di Speratono, piccolo centro nella valle della Motta, il che permise a Mazzè di estendere il suo territorio sino al lago di Candia. Infine nel giugno dell’anno 1349 il marchese di Monferrato Giovanni II, capofila dei Ghibellini, attaccò Caluso difesa dal partito Guelfo, conquistandola. Nell’impresa Giovanni II era stato sorretto dal conte Bertolino di Mazzè, il suo intento era di recuperare il Catellacium e la parte di Caluso di sua spettanza, ma il marchese non tenne conto di queste esigenze e infeudò la cittadina ad Ottone di Brunswich, al che il pugnace conte cedete i castelli di Candia e Castiglione a Galeazzo Visconti, permettendo al signore di Milano di attaccare il marchese Giovanni II. Quasi contemporaneamente, nel 1349 l’antica parrocchia di Mattiacum con sede nella chiesa di San Lorenzo veniva abolita con la motivazione che il paese circostante era ormai deserto perché la gente si era trasferita nel ricetto sulla collina in un tempo di cui si era perso il ricordo. Dopo secoli di abbandono la chiesa di San Lorenzo godrà di nuova vita nel 1736 quando, aggiunto il titolo di San Giobbe, sarà adibita a lazzaretto durante una epidemia di vaiolo. Successivamente verrà restaurata nelle forme attuali.
La guerra proseguì nei decenni successivi con varie motivazioni ed ebbe il conte di Mazzè Antonio Valperga detto il Velloruto protagonista sia durante il Tuchinaggio che nelle fasi finali, tanto che il paese dovette subire l’assalto delle milizie guelfe di Matteo di Front. Infine, nell’anno 1391 il conte di Savoia Amedeo VII e sua madre Bona di Borbone, vedova del Conte Verde, scesero a Ivrea e imposero la pace annettendo gran parte del Canavese. Con la pace di Ivrea Giorgio Valperga, figlio di Antonio Velloruto, comprendendo che l’ avvenire di un nobile canavesano dedito alla guerra era ormai compromesso, si pose prima agli ordini dell’ imperatore Sigismondo di Lussemburgo e poi del famoso capitano di ventura Facino Cane, salvando il suo capitano nell’anno 1411 da un agguato ordito dal duca di Milano. Nel 1412, alla morte di Facino Cane, Giorgio Valperga tornò a Vienna presso l’imperatore Sigismondo come generale nelle guerre contro i Turchi e Ussiti, diventando suo ciambellano e personaggio di statura europea. La carriera del conte di Mazzè ebbe termine con la morte avvenuta in Boemia nell’anno 1429. In questa occasione Sigismondo, considerati i meriti del Valperga, riconfermò la bolla emessa a suo tempo da Federico II di Svevia, riassegnando ai Valperga i loro feudi. I tre figli di Giorgio Valperga, Antonio, Teodoro e Catalano, passato nel 1435 il feudo di Mazzè ai Savoia e vinta una lunga diatriba con il cugino Bernardo, suddivisero le proprietà paterne, assegnando a Teodoro Mazzè e Rondissone a Catalano, mentre di Antonio, colonnello della cavalleria imperiale nelle guerre balcaniche, si persero le tracce.


GRANDEZZA E DECADENZA DI MAZZE’ 1436 – 1814


Come per il ducato di Savoia, il XV secolo fu senz’altro per Mazzè un periodo positivo, tanto che il conte Teodoro Valperga e poi suo figlio Gioffredo misero mano alla trasformazione della chiesa di San Gervasio da cappella a basilica a tre navate, sistemarono il sagrato e la piazza antistante, ampliando il ricetto sino ad inglobare la porta del Chierro e l’adiacente Castellaccio. Successivamente la mancanza dei proventi derivanti dal feudo di Rondissone passato a Catalano Valperga, congiunta alla scarsa capacità dei conti di Mazzè di adattarsi ai tempi e alle guerre tra francesi e spagnoli, provocarono un notevole impoverimento del paese, al quale i suoi signori non seppero reagire. Basti pensare che il canale Brissac raggiunse Caluso nell’anno 1559, raddoppiando la sua produzione agricola, mentre i conti di Mazzè non ritennero utile proporne una derivazione per irrigare il loro feudo. A livello bellico la Dora Baltea fu per lunghi anni il confine tra francesi e spagnoli ed lungo il suo corso avvennero occasionalmente scontri. Da ricordare quello avvenuto nell’anno 1536 tra le truppe spagnole di Cesare Maggi, capitano del re di Spagna di stanza a Moncrivello e quelle di Emilio Greco, generale di Francesco I re di Francia. Nell’occasione il Maggi ebbe il sopravvento riuscendo a far valicare il fiume alla sua cavalleria, ma prima dovette cannoneggiare Mazzè con le artiglierie. Nello stesso periodo sorsero controversie tra i comuni di Mazzè e Rondissone circa la delimitazione dei loro confini, che essendo anche i limiti tra il ducato di Savoia e il marchesato del Monferrato, furono regolati unicamente nell’anno 1576 tramite un trattato internazionale, mettendo fine a liti in cui la gente dei due paesi passava sovente a vie di fatto.
Di seguito la decadenza dei Valperga si accentuò, tanto da dover cedere il 6 giugno 1613 a Filippo Gherardo Scalia conte di Verrua, 1/12 del feudo di Mazzè, cessione formalizzata da una bolla del duca Carlo Emanuele I di Savoia. L’assegnazione fu poi riproposta dallo stesso duca a favore del figlio Augusto Manfredi Scaglia il 4 febbraio 1.625, divenuto, oltre a conte di Verrua, anche marchese di Rondissone e Caluso. Fu questi ad inviare a San Pietro coloni originari di Tonengo d’Asti e da altri paesi del Monferrato per coltivare quanto divenuto di sua proprietà. Seguendo le necessità del tempo altri coloni si installarono a Barengo, dando il nome del loro luogo di origine al sito e costruendo una prima cappella titolata ai Santi Orso e Barnaba, poi trasformata e ampliata nell’anno 1720 a cura dei borghigiani. Nell’anno 1885 la chiesa venne demolita e sostituita dall’attuale edificio dotato di campanile, congiuntamente quel che restò della vecchia chiesa assunse le funzioni di sagrestia.
Agli inizi del XVII secolo venne eretta nella piana la chiesa di San Rocco, testimoniando che, finite le guerre franco-spagnole, era iniziata la migrazione degli abitanti del ricetto verso la pianura. Nel 1729 re Carlo Amedeo II, riconoscendo che gli acquisti di Caluso, Rondissone fatti dagli Scaglia erano stati estorti, ordinò che questi feudi tornassero agli antichi proprietari. Dopo questa data anche Mazzè ridiventò di pertinenza dei soli Valperga: evidentemente il re ritenne estorta anche l’ assegnazione di 1/12 del feudo concessa agli Scaglia dal suo avo Carlo Emanuele I. A quel tempo la produzione agricola era circa pari a 1/5 di quella attuale e il reddito del feudo era diviso tra i conti di Mazzè e i Valperga Montuè, casata collaterale derivata dal ramo principale nel XVI secolo. A mente della tradizione ricordata da don Pietro Solero nel suo manoscritto sulla storia di Tonengo, questo evento favorì l’abbandono di San Pietro da parte dei discendenti dei coloni inviati dagli Scaglia, con il trasferimento di circa 30 famiglie verso il sito dove sorgerà Tonengo .
Pochi decenni dopo re Carlo Emanuele III decise la costruzione della Mandria di Chivasso e il potenziamento del canale Brissac allo scopo di far giungere acqua alla tenuta. Visti i costi, il fisco reale tentò di ridistribuire le spese coinvolgendo altri comuni, in primo luogo Mazzè che, contrariamente a quanto deciso due secoli prima, si assoggettò al pesante gravame economico. Al che nel 1765 a Caluso venne diramata una roggia dal canale principale e le campagne del feudo poterono essere finalmente irrigate. La possibilità di lavoro offerta dalla costruzione della Mandria e del nuovo canale, nonché la possibilità di coltivare terreni sino ad allora a gerbido, provocarono l’arrivo di un imponente numero di persone e il rapidissimo popolamento di Tonengo, tanto che secondo i Libretti del Sale tra il 1748 e il 1774 il comune quasi triplicò i suoi abitanti, passando da 1355 a 3030 persone. Questo rapido aumento della popolazione obbligò la messa a coltura anche dei terreni marginali sino ad allora tenuti a bosco, il che, secondo quanto ricordato dal medico G.B. Boerio nella sua “Storia della Pellagra in Canavese”, provocò seri problemi, tra l’altro dando inizio ad una sorta di dualismo tra Tonengo e il capoluogo. In ultimo il periodo napoleonico e l’annessione alla Francia provocarono, oltre all’adozione del francese come lingua ufficiale e alla scomparsa dei diritti feudali dei Valperga, l’abbattimento delle mura del ricetto, l’innalzamento dell’Albero della Libertà sulla piazza del paese, la costruzione di un ponte sulla Dora Baltea tra Rondissone e Cigliano e quella di un nuovo mulino a Casale. La costruzione del mulino diede fra l’altro inizio ad una vertenza tra la popolazione di Mazzè e il conte Francesco Valperga che avrà fine solo dopo vari decenni di azioni legali.


EPOCA MODERNA 1814 – 2000


L’instaurarsi del cosiddetto Ancien Regime, nato dopo la sconfitta di Napoleone, trovò Mazzè in condizioni molto diverse da quelle esistenti nel XVIII secolo. I bastioni che dal medioevo difendevano il paese erano stati abbattuti e la presenza della nuova roggia aveva accentuato la migrazione degli abitanti verso la pianura, tanto che il ricetto si stava lentamente spopolando. Nel 1837 il cimitero, sino a quel momento posto accanto alla chiesa di santa Maria, venne traslato nel sito attuale e anche se nel 1847 il palazzo comunale fu ampliato e restaurato, fu necessario sdoppiare i pochi servizi esistenti, tra l’altro creando una seconda farmacia nella parte bassa del paese. Perdurando questa situazione, alcuni nobili, in primis il cavalier Carlo Birago di Vische e poi il conte Giuseppe Pochettino di Serravalle, acquistarono l’area oggi delimitata dalle vie Municipio, Rua, Perino e la Piazza Camino e Prola. Demoliti i fabbricati medievali i due nobili edificarono le ville La Torretta e Mon Repos e, dopo aver sradicato le vigne che sorgevano nella parte meridionale della collina, crearono i parchi ancora in parte esistenti. Queste trasformazioni costrinsero il comune di Mazzè a modificare l’andamento delle strade pubbliche. Clamorosa fu nel 1844 la soppressione della Via del Fossale, una strada medievale che seguendo l’antico bastione collegava la chiesa di Santa Maria con via Santa Lucia e la Dora Baltea, per favorire l’ accorpamento delle proprietà dei due nobili. Ma poco dopo il cavalier Giovanni Battista Basco, acquistata una parte del Borgo di Santa Maria, lo demolì e edificò Villa Maria Luisa. Il castello era intanto andato quasi in rovina e con la morte del conte Francesco Valperga nell’anno 1840 si spense anche la casata che aveva regnato su Mazzè per 700 anni.
Per quanto concerne le frazioni, mentre a Barengo perdurava una sorta di latifondo, costringendo gli abitanti ad una grama esistenza di lavoratori a giornata, a Tonengo e a Casale le difficoltà oggettive della lontananza da ogni servizio, sommate alla necessità di riaffermare una propria identità, portarono nell’ anno 1832 alla costituzione di una nuova parrocchia titolata a San Francesco d’Assisi. La nuova chiesa, edificata con la spesa di 12.000 lire sopportate in gran parte dalla popolazione delle due frazioni, fu inaugurata nel 1861, e poi abbellita con pitture e statue opera di artisti piemontesi. La difficoltà maggiore degli abitanti dell’intero comune, ma particolarmente per quelli abitanti sulla parte alta della collina, rimaneva sempre comunque l’approvvigionamento d’acqua, generalmente prelevata dalla roggia, da cisterne sotterranee, da pozzi poco profondi o da stagni maleodoranti. Tale situazione nell’anno 1854 provocò, oltre al tifo, un’epidemia di colera con la morte di 66 persone, tanto che la chiesa dei Santi Lorenzo e Giobbe dovette riprendere le funzioni di lazzaretto. A questo gravissimo problema, dopo vari tentativi espletati nel corso del XIX secolo in particolare dai nobili abitanti nelle ville poste nell’antico ricetto, fu posto in parte rimedio solo nell’anno 1926, quando il podestà del tempo stipulò una convenzione con la famiglia Ghelfi proprietaria nel castello, dando al comune la possibilità di attingere acqua dal loro impianto di sollevamento privato e di collocare una mezza dozzine di pilette erogatrici lungo le strade del capoluogo.
Nella seconda metà del XIX secolo le ville Mon Repos e La Torretta mutarono varie volte di proprietà passando la prima al marchese Raimondo di San Martino di San Germano e poi al conte Giuseppe Sigray di San Marzano, mentre la seconda fu ceduta al già citato conte Giuseppe Sigray di San Marzano e poi al marchese Capece Minutolo di Bugnano. Villa Maria Luisa rimase invece di proprietà della famiglia Basco sino al termine della prima Guerra Mondiale, quando, dopo averne ampliato il parco a spese di quel che restava del Borgo di Santa Maria, venne a morte la contessa Virginia Basco Ricciardi Lantosca, amica del famoso letterato Francesco De Sanctis e conosciuta da Benedetto Croce. Il castello fu acquistato dalla famiglia dei conti Brunetta d’Usseaux tramite l’ esecutore testamentario del conte Valperga, e riedificato in forme neogotiche su progetto dell’ingegner Velati Bellini, dal conte Eugenio Brunetta d’Usseaux. Dopo la morte della moglie, una ricchissima nobildonna ucraina, l’eclettico personaggio si trasferì a Parigi divenendo amico del barone De Coubertin e fondando con il nobile francese e altri sportivi del tempo il Comitato Olimpico Internazionale, di cui divenne poi Segretario generale. Da segnalare nel corso della II Guerra d’Indipendenza la visita al castello di re Vittorio Emanuele II con il suo Stato Maggiore e alcuni generali francesi, per visionare le fortificazioni allestite lungo la Dora Baltea dal colonnello Menabrea. La chiesa parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio fu a sua volta soggetta a importanti modifiche quali l’abbassamento del livello del pavimento di circa un metro, la costruzione della facciata in un eclettico stile neo barocco, della sagrestia e dell’abside verso Via della Scuole. Indubbiamente l’opera più importante fatta a Mazzè in quel periodo fu comunque la costruzione nell’anno 1892 del ponte sulla Dora Baltea, edificato grazie al finanziamento della Provincia di Torino e dei comuni del Canavese interessati alla comunicazioni con il vercellese e Milano.
Nella seconda metà del XIX secolo l’uniformità sociale del comune iniziò a sgretolarsi, e pur conservando aspetti simili, assunse connotazioni leggermente divergenti. Da parte loro le frazioni mantennero un’economia prettamente agricola sino a tempi recenti, mentre il capoluogo, essendo parte dei suoi abitanti dedita a servizi presso nobili e benestanti che abitavano nella parte alta del paese, assunse tratti più strutturati. La stessa nascita di asili per l’infanzia ebbe dinamiche diverse. Nel caso del capoluogo la realizzazione fu dovuta in gran parte al cavalier Giovanni Battista Basco e alla famiglia Del Grosso nell’ambito di quanto prescritto dall’ Ortopedia Morale della marchesa Giulia di Barolo. A Tonengo la struttura fu invece creata per merito di don Pietro Monte, padre barnabita e scienziato originario del luogo, il quale, colpito dalle condizioni dell’infanzia, sollecitò la popolazione a creare un asilo con il conferimento di alcune sue proprietà. A Mazzè uguale genesi dell’asilo ebbe la creazione di una struttura medico-assistenziale da parte della famiglia Del Grosso, la quale, dopo aver acquistato un edificio prima adibito a seteria, lo adibì a questo scopo, dotandolo delle risorse necessarie al suo funzionamento.
Per il comune la promulgazione della legge concernente l’istruzione pubblica avvenuta nell’anno 1876 fu certamente un momento topico, tanto che rispose alla nuova esigenza in modo abbastanza discutibile, assegnando alla bisogna locali poco adatti. Nel capoluogo fu adibito allo scopo una parte del municipio verso Via della Scuole, a Tonengo fu allestito un vecchio edificio poi demolito per far posto alle scuole attuali, mentre a Barengo fu adattato un locale di proprietà della parrocchia. A Casale provvide invece alla bisogna Rosa Detragiache, la quale nell’anno 1894, mancando un edificio pubblico, tra mille difficoltà fondò la scuola della frazione, adibendo allo scopo una stanza di casa. In questa ottica deve anche essere ricordata la scuola per giovinette fondata dalla nobildonna danese Scavenius nella villa Anzino, allo scopo di addestrare le ragazze alle incombenze della vita familiare. Da rimarcare inoltre la nascita a Tonengo nell’anno 1905 della prima sezione del Partito socialista, poi trasferita a Casale nel 1909 presso la casa Del Canton, e il sorgere nel comune di Associazioni di mutua assistenza e Casse rurali di impronta cattolica.
A livello economico, a parte due seterie nate una nel capoluogo nell’edificio dell’attuale Casa Protetta e l’altra alla Motta di Barengo, ambedue non sopravissute a lungo, colpisce la mancanza di industrie, pur avendo Mazzè certamente le caratteristiche utili a crearle. E’ possibile che la causa sia attribuibile alla presenza di una classe dirigente non consona ai tempi, ancorata ad una economia agricola non più in grado di sostenere l’economia del paese. A conferma, a Barengo i conti San Martino di San Germano, dopo aver fondato la seteria, onde ottenere i capitali necessari da investire nell’industria, lottizzarono il loro latifondo e lo cedettero ai lavoranti, favorendo la loro elevazione sociale e economica. In ogni caso il fenomeno dell’ industrializzazione, rappresentato in primo tempo in Canavese da cotonifici impieganti un gran numero di donne, a causa dell’aumento della popolazione non fu sufficiente a diminuire il numero delle persone che emigravano verso i paesi europei o le Americhe in cerca di lavoro e fortuna. Solo l’avvento di un tipo di industria più evoluta, quale sarà poi l’Olivetti a Ivrea, richiedente molta mano d’opera specializzata, riuscì a frenare l’emigrazione canavesana.
Il dualismo, o meglio la contrapposizione tra il capoluogo e Tonengo continuò a lievitare anche nella seconda metà del XIX secolo, costringendo le Amministrazioni succedutesi a vere proprie acrobazie finanziarie per attutirle. In questo quadro deve forse essere collocata l’uccisione, avvenuta nell’anno 1899, del sindaco Carlo Cuccatto da parte di un balordo. La tensione tra le due realtà continuò a crescere sino agli anni trenta, quando il podestà del tempo decise di indire un referendum a Tonengo e Casale sulla possibilità di creare un comune autonomo sulla falsariga di quanto avvenuto a suo tempo per la parrocchia. Al che la popolazione delle due frazioni, anticipando i tempi, edificò a sue spese l’edifico ora ospitante l’ambulatorio quale sede del nuovo municipio. Ma data la politica di accorpamento dei piccoli comuni adottata durante il periodo fascista, l’istanza fu rigettata e lo stabile rimase per lungo tempo inutilizzato.
In Italia il XX secolo ebbe inizio con rivolgimenti sociali a favore delle classi meno abbienti, tanto che si arrivò ad una sorta di legislazione a favore dei ceti più umili. Ma fu la Prima Guerra Mondiale la cesoia che divise i tempi e richiese anche a Mazzè un contributo di morti e di feriti. Nel comune difatti si lamentarono ben 95 decessi per cause belliche, dei quali 70 avvenuti durante il conflitto e 16 dopo l’armistizio con l’Austria-Ungheria. Dopo la smobilitazione e l’avvento del ventennio fascista, oltre alla repressione spicciola di ogni forma di opposizione con l’invio al confino di comunisti e anarchici, si assistette a vere forme di persecuzione nei confronti della famiglia Del Canton perché nella loro casa di Casale era posta la sede del Partito socialista. D’altro canto si assistette, per merito di manovre militari, all’arrivo a Mazzè di Benito Mussolini e del principe Umberto di Savoia. Il primo fu ospitato presso il castello di proprietà della famiglia Ghelfi, e il secondo nella villa La Torretta di proprietà della principessa d’Ischitella, vedova del marchese di Moncrivello.
Sino all’anno 1934 le scuole del capoluogo erano situate nel luogo originario, poi, forse per interessamento di qualche personaggio di rilievo, la Stato erogò a favore del comune un sostanzioso contributo che consentì di costruire l’edificio scolastico di Via Capitano del Grosso e quello della frazione Casale in Piazza Minetto. Ma la vera opera che segnò l’epoca fu la costruzione negli anni 1921 e 1922 dello sbarramento sulla Dora Baltea, un opera progettata per rendere possibile l’irrigazione di circa 12.000 ettari di terreno sulle due rive del fiume. Purtroppo l’uscita dal consorzio del chivassese, che considerò il progetto poco conveniente, infirmò immediatamente l’equilibrio economico dell’opera, a cui si aggiunse nell’agosto dell’anno 1924 il crollo parziale dell’impianto a causa di un errore di progettazione congiunto ad una piena improvvisa del fiume.
Frattanto l’Europa si avviava rapidamente verso il secondo conflitto mondiale, il quale anche se segnò un numero minore di vittime rispetto al precedente, fu certamente per la popolazione del comune più carico di conseguenze e lutti a causa dell’accendersi di una sorta di guerra civile tra oppositori e fautori del Regime fascista, alleato con l’esercito nazista. Particolarmente da ricordare l’uccisione da parte dei nazisti in ritirata di due ragazzi lungo il sentiero che da Viscano porta a Mazzè, la fucilazione di patrioti mazzediesi a Caluso da parte delle brigate nere fasciste e la rappresaglia avvenuta a Tonengo nell’anno 1944, a seguito dell’uccisone del prefetto Manganiello e di due suoi collaboratori.
Quando finalmente nell’aprile dell’anno 1945 la guerra ebbe termine la popolazione era stremata, ma la gente, proclamata la Repubblica, si accinse rapidamente a ricostruire quanto distrutto e a porre le basi di una società almeno teoricamente più giusta e vicina alle persone. Terminata la ricostruzione, la presenza nelle vicinanza di grandi stabilimenti industriali quali l’Olivetti ad Ivrea e la Lancia a Chivasso, garantirono alla popolazione un relativo benessere e furono eseguite importanti opere pubbliche, quali la fognatura comunale, mentre il municipio fu traslato in pianura. Anche se indubbiamente la nuova collocazione del municipio favoriva la gente, specialmente se di Tonengo, forse non fu considerato a sufficienza il fatto che la scomparsa della vecchia sede avrebbe accentuato l’abbandono del centro storico, tanto che oggi la popolazione della parte antica è ridotta a poche famiglie e lo spopolamento totale non è lontano. Purtroppo alla fase di industrializzazione seguì negli ultimi decenni quella della chiusura dei grandi stabilimenti e lo sviluppo sociale e economico del comune ebbe improvvisamente termine. Ad tutt’oggi si stenta ad individuare quale indirizzo debba seguire in futuro il comune per garantire almeno il mantenimento di quanto esistente.


Note ricavate dal libro “Mazzè, porta del Canavese” di Livio Barengo edito a Ivrea da Bolognino.