IL MULINO DI VIA CASTONE

"Il mulino di Via Castone"

Olio su tela

Roberto Fogliatti

 

 

Tratto dal libro

"Mazzè memorie della mia terra"

di Francesco Mondino

 

 

Gli influssi della Rivoluzione francese e dell'invasione dell'esercito Napoleonico sul nostro territorio.

Ribellione aperta al conte Valperga di Mazzè

Editto del 19-7-1797 sulle soppressioni delle "bannalità"

La reazione del conte Valperga, in seguito alla riduzione delle proprie entrate, dovuta alla costruzione del nuovo mulino.

L'appoggio dell'Amministrazione comunale

Gli abitanti di Mazzè riescono a far fronte a tutte le spese e il mulino comincia a funzionare

Diritto di gestione e diritto di proprietà: il mulino viene nuovamente chiuso.

Il Conte con le armi occupa il mulino

Il sindaco gioca un brutto ruolo

I creditori si ribellano

Il Prefetto di Ivrea concede al Conte l'autorizzazione di attivare il mulino

La popolazione insorge e occupa il mulino

I risvolti giudiziari

La denuncia del Conte e l'arrivo dei carabinieri

Il mulino ritorna del Conte, ma i ricorsi giudizari si susseguono

Finalmente il mulino torna definitivamente ai contadini

 

 

Gli influssi della Rivoluzione francese e dell'invasione dell'esercito Napoleonico sul nostro territorio.

Negli ultimi anni dell'ottocento, gli ideali nati dalla rivoluzione francese, giunsero fino a noi con un crescente tambureggiare, inculcando negli animi, il concetto che tutti gli uomini nascono uguali. La teoria dell'uomo suddito, del dovere di ciascuno di servire il proprio principe, non era più accettata. Essa traeva la sua linfa dai nuovi rivolgimenti della vicina Francia, e diventava portabandiera della ribellione contro il dispotismo delle istituzioni e di certi ceti aristocratici, per portare avanti un processo evolutivo nei rapporti tra cittadino e stato.

La filosofia della rivoluzione francese, egualitaria nella concessione dei diritti personali e politici della persona, stava minando le basi di tutti quegli ordinanmenti che sopravvivevano al feudalesimo, iniziando un processo di liberalizzazione dei cittadini dalla schiavitù dei privilegi.

Rimaneva, tuttavia, la miseria, per la quale non si intravedeva una soluzione vicina. Il suo problema cominciava a destare un interesse sempre maggiore, e ci si chiedeva se era possibile riorganizzare la società, in modo da eliminare le disuguaglianze economiche con una più equa ridistribuzione delle ricchezze. Negli strati più bassi della popolazione, cominciò a serpeggiare la convinzione che un rivolgimento politico avrebbe permesso "al suddito di bere il vino del padrone e alla suddita di vestire gli abiti della sua signora."

Sopravvenuti in Italia Napoleone Bonaparte e l'invasione francese, gli anni che vanno dal 1796 al 1798 videro lo sconvolgimento dell'assetto italiano. Era il crollo di un regime e di un ordine politico, una nuova classe politica si affacciava alla ribalta, fedele a verità nuove.

Le vecchie nobiltà perdevano le posizioni di privilegio, ma detenevano ancora le ricchezze e conservavano economicamente e socialmente un forte peso sulla vita del paese. Aprendosi gradatamente alle correnti innovatrici, davano l'avvio ad un moto di rinnovamento.

Le stesse guerre combattute dai napoleonici sul nostro territorio, erano state un lievito di trasformazione. Anche se i vincoli e le imposizioni del dominatore incidevano fortemente sui nostri interessi, si consolidava un più intenso ritmo economico e si affermava un più largo e consistente ceto borghese.

L'invasione francese, mutava così, tutta l'organizzazione e la vita politica italiana, la cui base si alimentava e si accresceva senza alcuna distinzione di ceto.

I grandi principi del 1789, il concetto di democrazia e di sovranità popolare, sostenevano la svolta decisiva nella storia italiana.

La lunga attesa, aveva fatto presagire questa rivolta politica , e la scintilla rivoluzionaria, stava dunque per scoppiare anche nei piccoli centri come il nostro.

 

Ribellione aperta al conte Valperga di Mazzè

Anche la popolazione di Mazzè era assoggettata alle prerogative feudali e costretta a gravi sacrifici e imposizioni, completamente alla mercè dei nobili locali, i quali oltre che a pretendere il pagamento delle varie imposte, sotto forma di canoni, censi e livelli, erano anche gli esclusivi proprietari di tutti gli "artifizi" esistenti nel territorio e necessari alla vita della collettività, come i forni, i mulini, i porti sui fiumi, dei quali i mazzediesi erano costretti a servirsi versando un oneroso pedaggio.

I mutamenti politici avvenuti sul finire del XVIII secolo, ebbbero un benefico riflesso sulla popolazione, e diedero l'avvio ad un primo, parziale rinnovamento delle barbare consuetudini feudali.

 

Editto del 19-7-1797 sulle soppressioni delle "bannalità"

Un editto del 19-7-1797, interpretando gli ideali di libertà scaturiti da tale rivolgimento, soppresse ogni forma di "bannalità" relative ai forni e ai mulini.

Tale innovazione, mal sopportata dai feudatari,, fu ancora ribadita da un'altro editto del 2-3-1799 (12 ventoso - anno 7), durante il governo provvisorio,dopo la rinuncia di Carlo Emanuele IV, costretto dai Francesi a lasciare il Piemonte e a stabilirsi a Cagliari.

Forti di questi editti ed un po' incoraggiati dai mutamenti politici che si susseguivano con sempre maggiori programmi di rinnovamento, i contadini di Mazzè costruirono, nel mese di dicembre 1799, un proprio mulino in via Castone, nelle immediate vicinanze dell'alveo della roggia comunale, con lo scopo di sfruttare l'acqua come forza motrice e di avviare un'azienda molitoria per la macinazione dei prodotti agricoli.

L'iniziativa mirava a liberare i contadini dall'obbligo di ricorrere forzatamente all'industria del conte Valperga, ed era nata sull'esempio di molte altre Municipalità del Piemonte, fra le quali, per citare alcuni centri limitrofi, quella di Candia, e quella di San Giusto.

Nei memoriali che seguirono alla lunga e combattuta controversia, sorta per il diritto di possesso e di gestione, sono pure citati i centri di Staffarda, di Ormea e di Cazzone, non meglio identificati.

 

La reazione del conte Valperga, in seguito alla riduzione delle proprie entrate, dovuta alla costruzione del nuovo mulino.

L'opera intrapresa dai contadini, che distoglieva dalle casse del feudo una buona parte delle entrate fisse, provocò da parte del Conte un ricorso alla Camera Nazionale, e tanto brigò e fece, che ottenne dal Giudice di Chivasso il trasferimento sul posto di una mano armata di quaranta uomini della gendarmeria francese " per far ridurre in ripristino stato la costruzione".

Per meglio riuscire nel proprio intento, non esitò a prendere le vie traverse, per mettere nella più fosca luce i fautori dell'opera, tanto da qualificarli sbirri, il cui fine sarebbe stato, come risulta dagli atti, "...dare quella clamorosità colla quale cercano sempre di accompagnare le loro azioni li più accaniti nemici del governo".

La popolazione, tuttavia, che era vissuta per lungo tempo sotto il ferreo cerchio dell'assolutismo e che ormai era persuasa di non poter più oltre sopportare e soffrire gli abusi di un monopolio anacronistico, non si lasciò facilmente intimorire e, riprese in mano le attrezzature che erano sul posto, fu sollecitata a ricostruire il mulino.

 

L'appoggio dell'Amministrazione comunale

Fu molto incoraggiante in quel particolare momento, l'appoggio dato dall'Amministrazione comunale, che aveva interposto una petizione alla Commissione Esecutiva del Piemonte, ottenendo con decreto del 29-12-1800, l'accoglimento favorevole della domanda inoltrata.

Col concorso di tutti i principali proprietari del Comune, si fece fronte a tutte le spese, e le loro generose decisioni, vennero assecondate con premura e con largo consenso a favore anche dalla classe dei meno abbienti, che concorse con ogni mezzo e con ogni espediente lecito.

 

Gli abitanti di Mazzè riescono a far fronte a tutte le spese e il mulino comincia a funzionare

Il mulino cominciò così a girare, e la sua attività andò avanti normalmente per oltre tre anni. Malgrado che il diritto di macina fosse stato ridotto a meno della metà rispetto a quello preteso nel mulino del Conte, vennero pagate gran parte delle somme mutuate.

Ne assunse l'economato, durante questo periodo, Martino Ottino, il quale, in perfetto accordo ed armonia con gli altri principali proprietari, acquistò anche i siti su cui l'edificio era stato costruito.

 

Diritto di gestione e diritto di proprietà: il mulino viene nuovamente chiuso.

Forse , a causa degli avvenuti cambiamenti in seno all'Amministrazione comunale, vennero confusi i diritti e gli interessi della comunità, a cui era solo stata accordata dalla Commissione Esecutiva del Piemonte, l'autorizzazione della costruzione del mulino.

Il fatto sta che cominciarono nuovamente ad intorpidirsi le acque, e di questo stato di confusione, ne approfittò il conte Valperga per contestare non solo il diritto di gestione, ma anche quello di proprietà.

Allo scopo, quindi di trarre miglior partito nel proprio interesse, il Conte ricorse ancora all'Amministrazione Generale del Piemonte, la quale, con lettera del 12-5-1805, ordinò al Prefetto di Ivrea di far chiudere l'edificio.

Benchè rimanesse, da quel momento, inattivo per molti anni, in attesa della definitiva decisione del Tribunale competente, il Martino Ottino, continuò sempre ad abitarvi e a macinare, di quando in quando, di nascosto, i cereali per conto di alcuni fra coloro che avevano maggiormente contribuito alla costruzione del mulino.

 

 

Il Conte con le armi occupa il mulino

Si arrivò così ai primi mesi del 1814, e nel marzo di quell'anno, il Conte senza attendere alcuna particolare decisione in merito della superiore autorità, scortato dai suoi agenti, e da due inservienti della Comunità, tutti armati di fucili, si introdusse nel mulino, prendendone possesso.

 

Il sindaco gioca un brutto ruolo

All'Autorità locali, indirizzò un memoriale per giustificare la sua condotta e per illustrare i suoi scopi a fine di bene "...onde era stato tratto dalle riconosciute necessità della popolazione". Presentò un atto di sottomissione di certo Paolo Antonio Gassino, il quale nella qualità di economo eletto (da chi?), si riproponeva di dare conto della gestione del mulino all'Amministrazione; infine promise (il Conte) altri corrispettivi da concertarsi e da fissare di comune accordo e, per avallare queste sue dichiarazioni, fece sottoscrivere l'anzidetto memoriale, da certo Giuseppe Formia, qualificatosi comproprietario del mulino.

Una simile messinscena, mirava ad un ipocrita giustificazione dell'arbitrio commesso, a danno della popolazione e consumato con la complicità di persone compiacenti, le quali avevano, indubbiamente il loro tornaconto. Si trattava di un'abile mossa alla quale si erano prestati alcuni agenti e amici del Conte, fra i quali l'allora Maire (sindaco) di Mazzè, sig.Clemente Corte.

Sembra, e non è difficile capirlo,. che la Comunità guidata dal predetto sig. Corte, abbia taciuto di fronte al memoriale, anche perchè, si disse , "ravvisò cauto interessamento nella sottomissione passata dall'economo Paolo Antonio Gassino".

Ma la falsità e la menzogna, che racchiudeva il documento, non mancarono di destare un vivo sdegno in coloro che ritenevano leso e violato un sacrosanto diritto da un atto di prepotenza e di sfacciato arbitrio.

 

I creditori si ribellano

Il malcontento si manifestò subito e fu reso ancora più acerbo dall'irrequietezza di alcuni fra i principali sostenitori della causa del mulino, fra i quali il Martino Ottino, e certi Francesco Anzola, Antonio Bergandi e Formia Martino, i quali accamparono legittime e provate ragioni di creditori.

In tale situazione, cominciarono ad esasperarsi gli animi, a intorpidirsi la tranquillità pubblica, a covarsi propositi di ribellione, cosicchè fu facile capire che soffiava aria infida e che il disordine stava per scoppiare.

 

Il Prefetto di Ivrea concede al Conte l'autorizzazione di attivare il mulino

Il conte Valperga, subodorando e prevedendo possibili disordini, valutando meglio la portata del suo illegale procedimento, che rischiava di compromettere sia la sua posizione che quella dell'autorità locale, a lui seconda, ottenne con subdoli raggiri, dal Prefetto di Ivrea, un decreto in data 13 aprile, col quale gli veniva concessa l'autorizzazione ad attivare il mulino.

 

La popolazione insorge e occupa il mulino

La notizia si propagò in un baleno. Essa fu la scintilla che avrebbe scatenato tutta la popolazione in una dimostrazione di protesta e che sarebbe poi culminata, qualche giorno dopo, in una vera insurrezione armata contro l'abuso perpretato dal Conte e dai degni soci verso i diritti sacrosanti della popolazione.

Ne furono capi, i predetti Martino Ottino, Francesco Anzola, Martino Formia, cui si unirono Antonio Bergandi e certo Luigi Tecchia, i quali, il 17 aprile, giorno di domenica, dopo le funzioni del vespro, sul piazzale della Chiesa, arringarono la folla, invitandola a solllevarsi e ad impossessarsi del mulino, scacciando coloro che vi si erano intromessi controogni buon diritto.

La piazza fu in breve un brulichio di gente di ogni sesso e di ogni età che, armata di bastoni, di vecchie scibole e di fucili, gridava e chiedeva giustizia. Una moltitudine di oltre duecento persone, scese per le vie del paese, accompagnata dalsuono delle campane a martello, raccogliendo lungo il percorso, largo consenso e approvazione, e si avviò verso la Via Castone per scacciare gli agenti del Conte, decisa a ritornare in possesso del mulino, da cui erano stati illegalmente estromessi i legittimi proprietari.

Giunta sul posto, invitò le persone di guardia a riprendersi le loro masserizie e ad andarsene. Gli occupanti del mulino, non se lofecero ripeter due volte, giacchè capirono che l'intenzione piuttosto bellicosa dei soppravvenuti, non offriva loro alcun indugio.

 

I risvolti giudiziari

Qualche tempo dopo, certo Giacomo Poletto, mugnaio di mestiere al servizio del Conte, qualificato poi come "avventuriere senza domicilio ed ignoto nel luogo di Mazzè, dimodochè non merita alcuna credenza", deporrà a favore del suo signore dicendo che dovette uscire "...subito unitamente a tutti gli agenti del Conte, giacchè fummo minacciati, in caso contrario che ci sarebbe stata rotta la testa e li... individui suddetti volendo difendere un attentato così contrario al buon ordine, si sono permessi di costituire in detto molino, un deposito di vari fucili e sciabole per far difesa e opposizione contro chiunque avesse ardito di discacciarli da detto molino"

A minimizzare la portata dell'avvenimento, si ergeranno poi, le varie deposizioni fatte a difesa degli insorti, che testimonieranno la inesistenza dell'istigazione alla rivolta; si dirà anzi, che la dimostrazione seguì pacificamente, senza armi,senza scandali, senza violenze, e il Poletto verrà smentito circa la sua affermazione relativa al deposito di armi e munizioni.

E' logico e naturale pensare che gli insorti abbiano adottato qualche misura di sicurezza e di difesa contro eventuali possibili reazioni dall'esterno, ma l'assunto che fossero state poste sentinelle di guardia con l'ordine di sparare contro chiunque avesse osato avvicinarsi,secondo quello che depose il Poletto, appare come una pura invenzione di coloro che intendevano rivendicare un diritto inesistente. Lo scopo non era altro che quello di gonfiare la portata del fatto, per comprire e soffocare le aspirazioni di quanti si erano fatti parte attiva e diligente, con sacrificio e on duro lavoro, nella costruzione del mulino.

Insediatisi, quindi, nel mulino, e nominato il loro gestore nella persona di Martino Ottino,essi iniziarono subito l'attività di macina, amministrando in nome del popolo e rendendo conto dell'operato alla Comunità.

 

La denuncia del Conte e l'arrivo dei carabinieri

Era fatale, però, che la loro azione dovesse essere troncata appena qualche giorno dopo, in seguito alla denuncia sporta dal Conte.

Il 2 agosto, infatti, il Prefetto di Ivrea, sulla scorta di cinque carabinieri a cavallo, si portava sul luogo "distante circa un terzo di miglio da Mazzè", e intimava al Martino Ottino e ai suoi famigliari di evacuare e sgomberare il fabbricato, sotto minaccia di fare ciò eseguire coll'appoggio della forza armata.

 

Il mulino ritorna del Conte, ma i ricorsi giudizari si susseguono

Al che, non avendo trovata alcuna opposizione, reintegrava immediatamente nel possesso del mulino il conte Valperga, secondo una ordinanza camerale di cui si faceva latore.

L'intervento dell'autorità superiore, dava inoltre, inizio ad un annoso procedimento che si protraeva da lunghissimi anni.

Da una parte stavano coloro che avevano caldeggiato e favorito la rivolta, dall'altra il Conte con isuoi servitori e agenti e le Maire di Mazzè, sig.Clemente Corte. Nel giudizio che seguì e che durò per lunghi anni, i contadini di Mazzè si adoperarono in ogni modo per trattare un amichevole componimento, ma gli sforzi e la buona volontà di questi, non fruttarono il beneplacito del Conte, e le cose andarono di nuovo in alto mare.

Seguirono varie suppliche, quella del 20 febbraio 1816, quella del 6 marzo 1818, l'atto consulare della Comunità di Mazzè, in data 11-3-1821 e vari "ragionamenti" della Comunità davanti alla eccellentissima Regia Camera dei Conti nella udienza del 9-9-1829.

Nel frattempo vennero presentate due proposte , una delle quali prevedeva la vendita del mulino da parte dei contadini al conte Valperga, con l'obbligo di quest'ultimo di corrispondere un capitale di L.15.000 a titolo di corrispettivo sia del fabbricato , sia di ogni altra ragione ad esso connessa; l'altra contemplava il pieno riconoscimento della proprietà del mulino ai contadini, con l'imposizione a questi di versare al Conte un canone annuo a titolo di allibramento perpetuo.

Tali proposte non ebbero migliore fortuna. La vertenza fu portata davanti al Procuratore Generale di S.M., che in data 10 marzo 1830 dichiarò "...non essere la Comunità di Mazzè tenuta alla vendita in favore del sig. conte Valperga del molino del quale si tratta..." e mandò le parti davanti al Relatore per la definizione delle ultime formalità.

 

Finalmente il mulino torna definitivamente ai contadini

Dopo trent'anni, si chiudeva così la causa. Originata da una sollevazione popolare, sorretta e animata dal proposito di abbattere le vecchie istituzioni feudali che avevano tenuta schiava la popolazione per molti secoli, essa si concludeva col pieno riconoscimento dei diritti invocati.

Il mulino, che fu la causa diretta di questa lunga vertenza, è ancora oggi funzionante e conosciuto comunemente col nome di Mulino Nuovo.

L'attuale proprietario è il signor Giuseppe Ottino, forse un discendente di quel Marco Ottino, che tanta parte ebbe nella costruzione dell'edificio, nella causa seguita, nella sollevazione popolare , e che fu il primo gestore ed economo.

Il mulino oggi non macina più i cereali dei contadini, ma è ancora perfettamente funzionante, e a chi desidera vederlo funzionare, il signor Ottino volentieri fa di nuovo scorrere l'acqua, girare la pala e la macina.

 

 

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