titolata ai martiri
Gervasio e Protasio,
è nata circa mille anni fa
come
cappella gentilizia
dei conti Valperga
unendo le sue sorti
a quelle dei
Signori di Mazzè
perciò non credo sia possibile parlarne,
senza la premessa di un sintetico resoconto della storia del paese.
In antico,
il castelliere salasso di Mattiacos,
non era situato alla cima del colle,
ma era nella piana formata dalla Dora,
nei pressi della chiesetta dedicata ai santi
Lorenzo e Giobbe.
In epoca romana
la situazione non mutò,
allora
Mattiacus
era formato da una villa rustica di proprietà dei
Macionis,
famiglia
salasso-romana
di notevoli possibilità
e dalle casupole dei loro dipendenti.
Esauritesi le miniere d’oro di Bose,
o meglio divenuta antieconomica la loro coltivazione,
gli abitanti di Mattiacus
si rivolsero probabilmente al
cabotaggio sulla
Dora,
a quei tempi navigabile sino ad Ivrea,
ed alla coltivazione dell’aminea gemella,
l’attuale
erbaluce,
vitigno originario dell’Italia meridionale,
ambientato dai romani in
Canavese.
Nel tardo Impero transitò per Mattiacus,
portata alla luce per merito dell’Associazione F. Mondino,
ed in epoca longobarda
si procedette alla costruzione di fortificazioni,
allo scopo di controllare
il guado sulla
Dora.
All’inizio del secondo millennio
la situazione muta sostanzialmente,
esisteva ancora l’abitato
salasso-romano di
Macciacus,
ma era ormai semi deserto,
perché non difendibile.
La stessa sorte coinvolse anche il borgo di San Pietro,
paesetto agricolo sulla strada militare,
a sud dell’abitato principale.
La popolazione,
dopo le scorrerie degli ungari del IX e del X secolo,
si era rifugiata alla
sommità della collina di San Michele
costruendovi un
ad uso di tutti gli abitanti del circondario.
Ricordo che queste fortezze di origine contadina,
non erano costruzioni imponenti,
ma consistevano in semplici spazi rettangolari,
difesi da fossati e terrapieni
sormontati da rovi,
racchiudenti al loro interno capanne e spazi per il bestiame.
Similmente ad altri casi,
è probabile che dopo la costruzione del ricetto,
sia sorta nella gente la necessità di erigere una cappella,
dedicata poi al
martire Gervasio,
titolazione successivamente ampliata
anche al fratello Protasio,
due legionari romani martirizzati a Milano in epoca indefinita.
Già all’origine la chiesetta era quasi sicuramente in muratura,
anzi forse era l’unico edificio in muratura della fortezza,
ed era certamente orientata in direzione inversa all’attuale,
con pavimento in terra battuta e nudo tetto,
nonché di dimensioni del tutto simili
a quella dei martiri Lorenzo e Giobbe,
ancora oggi esistente.
Nel dicembre dell’anno 1110,
una bolla dell’imperatore
Enrico IV,
infeuda Mazzè ai
progenitori dei Valperga,
quindi è facile dedurne che un ramo di questa famiglia
si era gia installato in paese,
facendo nascere
la necessità di una
cappella gentilizia
Nel 1286
la chiesa di San Gervasio,
è citata in un documento del priore della collegiata di Sant’Orso di Aosta,
mentre
nel 1349
la parrocchia dei Santi Lorenzo e Giobbe,
per mancanza di fedeli,
è abolita ed unita a quella del martire Gervasio.
Nello specifico, una prima considerazione da farsi è certamente quella attinente alla titolazione,
abbastanza inusuale in
Piemonte,
trattandosi,
Gervasio e Protasio,
di santi milanesi.
E’ probabile che questa scelta
sia da attribuire ai
conti Valperga,
perché,
oltre a vincoli parentali coi Visconti,
che potrebbero giustificare una simile decisione,
era consuetudine dei
nobili di origine franca,
adottare patroni di conclamante virtù belliche.
Per comprendere meglio,
è significativo l’esempio delle molte chiese titolate a
san Michele,
proprio a causa dei trascorsi guerrieri di questo santo pugnace.
La cappella originaria
non superava le dimensioni dell’attuale presbiterio,
e considerati i diversi livelli del terreno,
è molto probabile che sotto l’altare maggiore della parrocchiale
ne esistano ancora i resti,
magari sotto forma di
cripta.
Come già detto,
oltre alla piccole dimensioni,
la chiesa gentilizia era certamente
per comprenderci meglio,
la porta d’ingresso
doveva prospettare verso
e l’altare
guardare verso levante.
La forma a tre navate
ed il ribaltamento dell’orientamento,
furono realizzati almeno
trecento anni dopo,
al tempo di
Giorgio Valperga,
quando i conti di Mazzè
ebbero la possibilità di finanziarie lavori di questa portata.
D’altronde l’attuale forma è già presente quando monsignor Angelo Peruzzi,
vescovo di Sarzana,
visitatore apostolico,
nel 1585 viene a Mazzè
ed oltre ad
abolire la parrocchia di santa Maria,
trova la chiesa del martire Gervasio
in cattive condizioni.
La relazione del presule
precisa che
l’altare maggiore è posto sotto una regolare volta,
forse si trattava ancora di quella della cappella antica,
ma gli altri quattro sono in condizioni indecenti.
La sagrestia era situata alla base del campanile,
collocato a quel tempo a sinistra della porta d’entrata,
pressappoco dove adesso si trova la cappella del Sacro Cuore.
Non si hanno notizie della data in cui sono state inglobate le edicole laterali,
probabilmente nate come cappelle cimiteriali.
Da una planimetria redatta nell’anno
1750 circa,
si deduce che l’abside,
(l’attuale sagrestia)
e la parte finale della navata sinistra
non erano edificate,
mentre la parte destra del
falso transetto,
era occupata da una
sagrestia di fortuna
fatta costruire una cinquantina di anni prima
da Don Olearis,
parroco di Mazzè dal 1695 al 1746,
mentre erano ancora libere le zone
dell’attuale battistero
e della cappella dell’Assunta.
Costruito il nuovo portico verso la
Via delle Scuole,
sorse il problema del transito verso il sagrato,
cosicché
nel 1744
l’antico campanile è abbattuto,
ed a questa funzione è adibita
l’antica torre del ricetto,
ormai inutile ai fini difensivi.
Nella prima metà del XIX secolo
è edificata l’attuale sagrestia
ed occupati gli spazi liberi a lato dell’entrata.
Infine,
negli anni ottanta dello stesso secolo,
dopo aver unito tra loro le cappelle laterali,
sino allora separate le une dalle altre,
è costruita l’abside
e portata a termine
la facciata barocca,
mentre il piano di calpestio è abbassato di circa un metro,
rendendo inutile la scala esterna sul sagrato.
Incredibilmente,
dopo questa miriade d’interventi,
l’edificio ha assunto un assieme armonico e,
perlomeno all’interno,
quasi che ogni epoca abbia lasciato una sua traccia,
senza cancellare le precedenti.
Degni di nota:
la
ricavata probabilmente da un solo ceppo
di castagno
e la cappella successiva
dedicata a
San Sebastiano ed a San Vicenzo,
nonché la cosiddetta
cappella del castello,
dedicata ai conti Valperga
Mazzè,
con la
dell’ultimo di loro.
E’ doveroso rilevare il valore artistico e
religioso
della cappella dedicata a
San Sebastiano,
forse la più interessante
dell’intera chiesa,
un tema sottolineante i legami di Mazzè con
la Lombardia
o perlomeno col
vercellese.
Da visitare il battistero con la
databile al II secolo d.C.,
recentemente ritrovata a San
Lorenzo.
Di discreta fattura alcuni quadri di scuola piemontese del
XVIII secolo,
presenti nelle varie cappelle.
Abbastanza anonimo il lavoro di Agostino Visetti,
raffigurante
con i martiri Gervasio e Protasio,
posto sopra l’altare maggiore.
Recentemente si è appurato che sulle facce interne dei due muri delimitanti il presbiterio,
esistono delle pitture raffiguranti
l’ultima cena
e
le nozze di Cana,
nascoste dalla tinteggiatura fatta eseguire una cinquantina di anni fa dal parroco don Bocca.
Sarebbe certamente doveroso riportarle alla luce,
anche per dare una giusta prospettiva all’interno del tempio.
non sono certamente riconducibili ad uno stile definito,
perché pare che ogni tendenza architettonica germogliata
tra i secoli X e XX,
abbia lasciato il suo segno,
ma nella notevole testimonianza
che essa dà delle generazioni passate,
amalgamando nel suo assieme ogni intervento,
ogni restauro, quasi che all’origine esistesse un progetto per giungere a questo risultato.
Barengo Livio
Novembre 2004
I lavori di ristrutturazione della chiesa parrocchiale di Mazzè
l’Arch. Franco Carra e lo scrivente
furono interpellati tempo fa, dai membri di una sorta di comitato spontaneo,
formatosi in occasione del subentro di
Don Jacek a
Don Gioachino Mellano,
quale titolare della parrocchia di Mazzè Capoluogo.
La questione verteva essenzialmente sullo stato degli immobili di proprietà della parrocchia e sulla possibilità di provvedere a riparazioni, ove se ne rivelasse la necessità.
A noi si unirono in secondo tempo,
il Geom. Alfredo Bertone,
il quale aveva già dato la sua disponibilità in precedenza e successivamente
il Geom. Giuseppe Eusebio
in quanto aveva già svolto,
per conto di Don Gioachino Mellano,
vari incarichi professionali a favore della Parrocchia di Mazzè.
Il sopralluogo evidenziò che le due strutture principali, rappresentate dalla chiesa madre titolata ai martiri Gervasio e Protasio, situata in Piazza Camino e Prola e dalla proprietà ex Galimberti, localizzata in Via Boglietto, erano in condizioni preoccupanti. Le altre chiese, la canonica e la casa di Barengo, affittata a terzi, erano invece in condizioni discrete, nulla che eccedesse una buona manutenzione.
Il problema sollevato dalla chiesa madre era sostanzialmente il tetto, al quale per decenni non si era fornita la manutenzione necessaria, salvo il poco che si era potuto fare mediante volontariato ed il dissesto del pavimento della sagrestia, centinatosi sia per il peso di un mobile centrale adibito alla conservazione dei paramenti sacri e sia per l’ apertura dei muri perimetrali.
Per la casa ex Galimberti il problema era diverso e se possibile più complesso, in quanto, da parte di Don Mellano, si era iniziata un’opera di restauro allo scopo di trasformare lo stabile in oratorio ed abitazione del parroco, sistemando il piano terra.
Purtroppo però, abbastanza incomprensibilmente, durante i lavori non si era intervenuti sul tetto, ormai in condizioni precarie, tanto da creare seri dubbi sulla agibilità dell’edificio, non potendosi escludere il crollo della copertura sul sottostante plafone. In compenso si era edificato, lungo il lato nord, un seminterrato adibito a servizi e spogliatoi per il campo di calcio attiguo. Il primo piano era stato tramezzato a stanze, dimenticando che il plafone sovrastante, salvo la parte rifatta perché crollata durante i lavori, non era più certamente atto a svolgere le sue funzioni.
Facendosi carico di una situazione che non concede rinvii, i quattro tecnici si sono impegnati a produrre i progetti e le relazioni necessarie per porvi rimedio che però saranno inutili se non si procederà ad iniziare i lavori, che attualmente non si sa come finanziare. Un primo risultato si è già attenuto in quanto l’Arch. Carra, in un colloquio col funzionario addetto, ha appurato che la Soprintendenza per i beni ambientali e culturali del Piemonte, data l’importanza storico-artistica della chiesa di Mazzè e dell’ambiente circostante, non intende autorizzare lavori di ripristino non conformi alla struttura. In parole povere la Soprintendenza non accetta che il pavimento della sagrestia sia sostituito con una soletta in c.a., ma chiede che venga rifatto a padiglione come in origine, con i costi che tutti possono immaginare.
Certamente, aldilà di ogni considerazione di ordine religioso, sarebbe molto grave che la comunità di Mazzè non riuscisse a mantenere integro quanto creato dai suoi avi nei secoli passati, in condizioni economiche certamente peggiori delle attuali.
Luglio 2002
Geom. Livio Barengo