


Continuando la rassegna delle chiese mazzediesi,
è finalmente arrivato il turno di occuparci di quella più malandata,
vale a dire della cappella titolata a
sita nei
lungo la
l’unica di cui si conosca l’esatta data di costruzione.
Per comprendere l’importanza di questa chiesetta,
situata nel luogo dove presumibilmente sorgeva l’antico
bisogna ricollegarci alla rete stradale del
XII secolo,
nonché alla società di quel tempo,
sicuramente meno truculenta di quanto dica il sentire comune.
Al momento della fondazione di questa chiesa,
esistevano già a
Mazzè,
i templi dedicati al martire
Gervasio
ed alla
Madonna della Neve
ed era iniziato l’abbandono della cappella titolata ai
le chiese di
e di
essendo relativamente moderne,
non rientrano nel computo.
Le origini della costruzione di
santa Maria Maddalena
risalgono all’anno
1156,
quando il signore di Mazzè,
Guido IV Valperga,
conte del Canavese,
dona il
Pons Copacy
alla
confraternita dei Pontari,
nelle persone di Joannis de Cozerio ed Uberto di Mazato,
con l’impegno di assicurarne la manutenzione
ed assistere i pellegrini in transito.
Molto probabilmente,
il conte decise di
donare il ponte
perché pressato dalle richieste del potente
comune di Vercelli,
ma da buon cristiano,
nell’atto di donazione
chiede unicamente ai
fratelli pontari,
oltre una modica somma di denaro,
l’impegno ad elevare preghiere
“ pro remedio anima sua “
al momento della morte,
parole che non credo abbiano bisogno di traduzione.
Qualche anno appresso,
scomparso
Guido IV
ed espletata l’incombenza di recitare orazioni in sua memoria,
Joannis da Cozerio,
richiede al
vescovo d’Ivrea
l’autorizzazione
a far sorgere
un ospizio
nei pressi del
ponte
da poco acquisito,
rendendo cosi possibile alla congregazione,
di dedicarsi compiutamente all’assistenza materiale e spirituale dei viaggiatori.
Nel 1161,
il vescovo Pietro,
sollecitato da Oberto da San Sebastiano
e dal magister Nicolao,
canonico del capitolo della cattedrale,
autorizza Joannis da Cozerio
a costruire l’ostello,
con l’unica limitazione
di non edificare torri,
non gradite al
conte Valperga.
Negli anni successivi,
del progettato ospizio però non si ha traccia
e il Serra,
nel suo famoso lavoro sulle vie romane e romee del Canavese,
ipotizza che i lavori non siano mai stati terminati,
forse per la prematura morte del presidente della congregazione.
Nel 1209,
a seguito di un’altra richiesta della
confraternita dei Pontari,
il presule d’Ivrea
concede nuovamente alla congregazione di costruire,
nello stesso luogo,
una chiesa titolata a
Santa Maria Maddalena,
probabilmente a compensazione dell’ospizio mai realizzato.
Ad onor del vero,
nelle vicinanze della cappella,
ancora oggi si possono vedere le cantine di un edificio
che forse un tempo poteva essere definito un
ospizio,
ma disgraziatamente lo stabile
fu demolito all’inizio del
XX secolo
e non è più possibile avere riscontri attendibili.
Venendo ai pochi resti ancora visibili,
si comprende immediatamente
che la cappella
non rispettava il normale orientamento delle chiese del tempo,
ma che forse esisteva un portico,
a copertura di parte del sagrato,
dove la leggenda assicura
che fu inumata la salma del
conte Guido,
vari decenni dopo la morte.
Attualmente sono ancora visibili l’abside
ed alcuni tratti dei
nonché alcuni scalini tra l’unica navata ed il sagrato.
Le rovine sono poste all’interno di un
terreno privato,
il che non agevola certamente la visita, necessaria
per ammirare
un buon esempio di muratura romanica
un tempo illuminante l’interno della chiesetta.
Purtroppo lo stato d’abbandono è tale che indubbiamente,
se non si provvederà rapidamente a costruire un riparo di quel che resta,
quasi sicuramente di
santa Maria Maddalena,
nel giro di poco tempo, si perderà anche il ricordo.
Termino con alcune considerazioni sulla titolazione della chiesetta,
inusuale nella diocesi d’Ivrea,
ma riscontrabile in
Valle d’Aosta,
in varie maladieres
sorte sulla via dei pellegrini,
a conferma della deduzione che doveva
transitare da
Mazzè,
una delle diramazioni della
via Francigena,
separatasi ad Ivrea dal tracciato principale.
Considerando che
Maria Maddalena,
anche se comunemente descritta nelle scritture
come una prostituta pentita,
era parte della tribù di
Beniamino
e quindi di sangue reale,
qualche attinenza con sua titolazione,
la chiesetta avrebbe dovuto averla.
Certamente è strano che una persona di tal fatta si dedicasse
al meretricio,
ma senza voler approfondire la questione,
segnalo i motivi che potrebbero aver condotto i
Pontari,
a scegliere questo nome inconsueto.
Nel basso medioevo, erano dedicati a
Maria Maddalena,
gli ospizi in cui venivano ricoverati
i lebbrosi,
malattia infamante a quel tempo,
tanto da indurre alcuni ad affermare che questi sofferenti fossero persone indegne di Dio.
Certamente,
il transito di pellegrini,
poteva favorire l’arrivo di
lebbrosi,
e questo giustificherebbe l’ipotesi,
anche se non bisogna dimenticare
che dall’altra parte della Dora,
ad Ulliaco
esisteva un ostello adatto alla bisogna.
In alternativa si potrebbe presumere,
ricordando che le comunità
nelle quali venivano ricoverate
le prostitute pentite,
erano anche queste dedicate alla
Maddalena,
che la titolazione sia dovuta
alla presenza in quel luogo
di gente di malaffare,
d’altronde
Pons Copacy
significa
ponte dei briganti
e quest’appellativo può avvalorare certamente la tesi.
Lascio al lettore trarre le sue conclusioni
e termino
affermando
che la cappella fu abbandonata
ai primordi dell’epoca moderna,
forse proprio a seguito della sua cattiva fama.
Barengo Livio – Novembre 2004

