Nel suo celeberrimo saggio

sulle

Vie Romane e Romee dell’Italia settentrionale

il prof. Giandomenico Serra

distingue

l’origine delle varie località secondo il suffisso

presente nel toponimo

 

Prediali

Toponomastica italiana

Luoghi d'Italia

 

 

 

L’illustre studioso

assegna ai liguri

le località in

asco

 

ai galli

quelle in

acus

 

ed infine

ai latini

quelle terminanti in

ano

 

e cita

Mattiacus

(Mazzè)

quale sinonimo di centro abitato

d’origine

celta.

 


Secondo alcuni autori,

il toponimo

Mattiacus

ha origine da

Mattiaca,

meglio conosciuta in

Irlanda

come

Morrigan

la temibile dea della furia,

nonché signora dei guadi,

venerata dai

celti

 

Secondo altri studiosi

Mattiacus

deriva invece da

Macos

nome proprio di qualche antico possessore di queste terre.

 

E’ doveroso aggiungere,

che la prima interpretazione

trova conferma nel fatto che a

Mazzè

esiste l’unico

guado

praticabile sulla

Dora Baltea

tra

Ivrea

e

Po

 

mentre la seconda non può accampare altre prove,

oltre quelle filologiche.

 


Il ritrovamento,

avvenuto qualche anno addietro,

di una

stele funeraria

della prima età del ferro (VI secolo a.C.),

situata un tempo alla sommità del tumulo della

Bicocca,

conferma che nella piana formata dalla

Dora

esisteva un

caer (castelliere) salasso,

(Villaggio preistorico costruito su alture e recinto da mura)

 

sorto molto probabilmente allo scopo di controllare il guado

e le

miniere d’oro di

Bose - Résia.

 

La vicenda di

Mattiacus,

dopo la sconfitta dei

Salassi,

avvenuta,

secondo la tradizione,

appunto alla

Bicocca,

località posta tra Mazzè e Vische,

nel 140 a C,

per opera del console romano

Appio Claudio Pulcro,

smanioso di rivincita

dopo la disfatta

subita tre anni prima a

Verolengo,

prosegue in epoca romana.

 

I ritrovamenti archeologici indicano difatti l’esistenza di un abitato contadino

nei pressi dell’

antica parrocchiale dei Santi Lorenzo e Giobbe

e la presenza di una villa rustica di proprietà

Macionis,

famiglia celto-romana di notevoli possibilità,

come attestato dalla

lapide funeraria

di periodo imperiale ritrovata all’interno della chiesetta,

ora locata nella chiesa parrocchiale.

 


Nella stessa zona

fu costruita

nel IV secolo d.C.

una

strada militare

per collegare

Ivrea

con

Quadrata,

mansione sita nel territorio di

Verolengo

e sede,

assieme ad

Eporedia,

di una guarnigione di

Sarmati.

 

Il manufatto è stato recentemente portato alla luce

per merito dell’Associazione F. Mondino,

 

mentre del ponte

che si presume collegasse questa strada col vercellese

al momento esistono solo prove documentali.

 

Caduto l’Impero,

recenti scavi

indicano

che i longobardi

allestirono dei campi militari,

sempre allo scopo di controllare

il guado sulla Dora,

nelle

località Résia e San Lorenzo,

poi abbandonati dopo la sconfitta da parte dei franchi.


Smentendo

le romantiche interpretazioni ottocentesche,

i recenti studi

del prof. Aldo A. Settia,

dimostrano che le

fortezze alto medievali

non sorsero secondo un disegno strategico coerente,

ma furono edificate nel sito che gli abitanti del circondario ritenevano rispondere meglio alle loro esigenze di ricovero e difesa.

Sicuramente in questi casi non si può parlare di

ricetti,

perché le fortificazioni tipo

Candelo

sorsero nel XIII secolo

quale espressione d’entità comunali organizzate

e non su iniziativa delle famiglie

che abbandonavano gli antichi abitati sparsi d’origine romana,

divenuti troppo pericolosi a causa delle scorrerie

Ungare e Saracene.

 


A

Mazzè

dove l’andamento dell’antica fortificazione

è ancora rintracciabile nei catasti settecenteschi,

è probabile che il centro storico abbia avuto origine da una

fortezza contadina

di questa fatta.

 

Per quanto possibile dedurre,

la superficie dell’antico forte

doveva sommare a circa

tre giornate piemontesi,

e aderendo nuovamente a quanto detto dal Settia,

il quale sostiene che

ogni nucleo familiare

poteva disporre di una superficie almeno pari a due tavole,

dedotti gli spazi liberi,

si può asserire che il

numero di famiglie

ricoverabili nella fortezza di Mazzè,

poteva oscillare dalle 80 alle 100.


Nell’XI secolo,

iniziano a comparire all’interno delle fortificazioni,

ormai abitate stabilmente e contornate da trincee e da terrapieni di terra battuta sormontati da palizzate e da cespugli spinosi,

dei dongioni,

guarniti da torri di legno ed ospitanti delle chiese.

 

Forse sarebbe più corretto

retrodatare la costruzione degli edifici di culto

al secolo precedente,

perché la presenza di una cappella,

poteva essere il motivo

che giustificava la costruzione del forte.

 

Successivamente si crearono gli spazi urbani

quali piazze, vie e simili,

mentre gli edifici che in epoca moderna

intendiamo quali

castelli

saranno edificati dopo

 

tanto che a

Mazzè

il maniero dei Valperga

nasce nel

1317,

sulla motta interna della fortezza,

in precedenza occupata dal

dongione.

 


Indipendentemente da tutte queste trasformazioni,

si accentua il passaggio in

Canavese

dei pellegrini

provenienti dall' Europa settentrionale,

diretti a

Roma

e negli altri luoghi santi della cristianità.

 

Il fenomeno era già presente anche in precedenza,

ma l’aumento demografico e le migliori condizioni economiche

gli donano nuovo vigore,

sublimandolo nel fervore di rinnovamento che segue

la fine del primo millennio.


I romei

che percorrevano

la mitica Via Francigena,

passata Ivrea,

avevano a disposizione

due itinerari:

 

il primo era quel che rimaneva

dell’antica strada romana delle Gallie, o via Ployba (via pubblica),

dove però il transito era ostacolato dall’impaludamento delle torbiere di

Bollengo

e dalle leggende legate alla presenza di mostri terribili nelle acque del lago di

Viverone.

 

Il secondo consisteva nella possibilità di imboccare

l’antica via militare diretta a Quadrata,

o perlomeno un percorso parallelo.

Non credo sia necessario sottolineare quale fosse il tornaconto economico legato al transito dei pellegrini,

basti pensare al turismo moderno e sarà facile darsene ragione.

 


Nell’undicesimo secolo,

per merito della sua posizione,

Mazzè

diviene il terminale del tratto di

Via Francigena

che ricalcava l’antica strada militare.

 

La necessità di presidiare il

ponte Copacy

ed i guadi sul fiume,

costrinse un ramo della casata dei

Valperga,

nobili d’origine franca

legati ad

Arduino d’Ivrea,

a stabilirsi all’interno della fortezza,

garantendo la sicurezza delle strade.

 

Oltre la Dora,

il ponte dava accesso alla

Via de Mazato

ed al castro

Uliaco,

dove

l’ospedale

Montis Jovis

possedeva una sua casa ospitaliera

e quindi proseguiva verso

Vercelli.


A comprova si attestano vari documenti,

basti citare l’atto notarile in cui

nel 1156,

il ponte e le sue pertinenze

sono donati dal

conte del Canavese Guido IV,

pro rimedio anima sua,

ad una congregazione religiosa,

 

forse con l’obbligo di costruire un ospedale a ricovero dei pellegrini,

cosa che in certa misura avviene,

con la costruzione di una

casa di Pontari

e della chiesa dedicata a

Santa Maria Maddalena.

 


Similmente a molte altre località,

il transito di viaggiatori,

incentiva anche a

Mazzè

lo sviluppo edilizio,

perché,

non essendoci spazio sufficiente per ospitarli all’interno della fortezza

o non volendo farlo per motivi di sicurezza,

nasce,

allo scopo di assolvere questa funzione,

un nuovo borgo

fuori le mura.


Purtroppo con la distruzione del ponte,

avvenuta probabilmente nella

seconda metà del XIV secolo,

le fortune di Mazzè

cominciano a declinare

e non salva la costruzione della

Via Mazenga

tendente a Chivasso,

 

tanto che nei secoli successivi

il castello

si riduce a maniero di campagna senza importanza.


Nel 1840,

alla morte di

Francesco Valperga

ultimo conte di Mazzè,

privo d’eredi diretti,

 

tutte le costruzioni

contenute nel

perimetro dell’antica fortezza

sono più o meno in rovina

e la popolazione brama trasferirsi in pianura,

ormai sicura e dotata dell’acqua della nuova roggia.

 


Al tempo della seconda guerra d’indipendenza

il re Vittorio Emanuele II,

fa del castello di Mazzè,

il luogo da cui dirigere la

battaglia tra gli austriaci e piemontesi.

 

Dopo la vittoria,

il complesso

è acquistato dalla famiglia

Brunetta d’Usseaux,

assumendo nuova vita.

 

Un rampollo di questa famiglia di nome

Eugenio,

sposando

Caterina di Zeyffart,

una nobile russa proprietaria in patria d’ingenti ricchezze,

ha la possibilità di restaurare il monumento donandogli la struttura neo-gotica attuale.

 

Rimarchevole il fatto che il

conte Eugenio,

esiliato a Parigi

a seguito di un duello,

ebbe la ventura di incontrare il

barone De Coubertin,

divenendo suo intimo amico

e collaborando con lui

nell’organizzazione delle prime edizioni delle

Olimpiadi moderne.

 

Il Brunetta,

divenuto infine

segretario generale del Comitato Olimpico Internazionale,

ne conserverà l’archivio nel castello di Mazzè

sino alla morte,

quando andrà disgraziatamente disperso.

 

Significativo il recente interessamento del

CONI e del CIO di Losanna

sulla figura del Brunetta,

materializzatosi con la pubblicazione di una sua biografia.

 


Nella prima metà del XIX secolo,

l’Amministrazione comunale,

venendo incontro all’esigenze della popolazione,

favorì la vendita d’appezzamenti e di fabbricati a nobili di gran nome,

desiderosi di soggiornare a

Mazzè

nei mesi estivi.

 

Si costituirono quindi sul colle alcune grandi proprietà,

nate dalla demolizione della antiche strutture difensive medievali,

gratificate dal Comune

con l’eliminazione di tre vie pubbliche,

ormai ritenute inutili,

dopo il trasferimento di gran parte della popolazione in pianura.


Negli ultimi tempi,

l’antico ricetto,

trasformatosi in ambiente squisitamente romantico,

ha beneficiato di una notevole opera di restauro,

nobilitando le stradine del suo perimetro, tornate allo splendore originario.

 

 

Schede monografiche

 

 


I due manieri

appartenuti ai

conti Valperga,

sono stati fortunatamente

preservati dalla rovina, dagli attuali proprietari

che hanno ripristinato i muri di sostegno verso il fiume

eseguendo altre improcrastinabili opere di restauro.

 

Recentemente è stato inserito nei sotterranei un interessante museo delle torture

 

Il complesso, è stato dichiarato monumento nazionale.


A ridosso delle mura del castello,

lungo la stradina che delimitava l’antico dongione,

è situata un’edicola dedicata a

San Michele,

raffigurato nell’atto di uccidere il drago.

 

La cappella originaria,

risalente con molta probabilità

alla seconda metà del XVII secolo,

anche se notevolmente rimaneggiata

durante i lavori di ristrutturazione del castello,

è certamente

una delle più belle e caratteristiche di Mazzè,

tant’è che la tradizione popolare

le ha donato il nome di

“cappella del diavolo “

forse a ricordo di una strana statua forse raffigurante il male,

un tempo conservata al suo interno.

 

 


Percorsa la stradina in discesa

prospiciente, il castello,

si arriva alla piazza sulla quale si staglia la

chiesa parrocchiale,

titolata ai Santi Gervasio e Protasio,

vecchia chiesa gentilizia dei conti di Mazzè,

per secoli

parrocchia dei dimoranti all’interno della cinta fortificata.

 

Non c’è più traccia dell’antico campanile,

abbattuto nel 1744

per permettere il transito

sul sagrato verso la galleria conducente a

Via della Scuole,

adattando in sua vece l’antica torre della fortezza medievale.


Degne di nota

le cantine della casa parrocchiale,

risalenti al XII secolo,

forse a quel tempo,

parte della locanda esistente nel ricetto.

 

Da rimarcare i vani laterali del corridoio inferiore,

residui dei passaggi sotterranei costruiti nel XVIII secolo,

quale uscita d’emergenza in caso di attacco o di rivolta popolare.


Risalendo la scalinata della chiesa

accediamo

al sagrato,

un tempo adibito a cimitero,

ora ospitante l’antica

confraternita di Santa Marta,

 

scendendo poi una bella galleria angolare,

recentemente restaurata, si arriva al

vecchio palazzo comunale.


Questo nobile palazzotto neoclassico,

costruito nel 1759

dall’arch. Giuseppe Pozzo

e notevolmente trasformato nel secolo seguente,

oltre ad una struttura di per se stessa elegante,

presenta un bel porticato verso la piazza della chiesa.

 

 

 


Le tavole catastali settecentesche,

evidenziano l’esistenza di una strada collegante

Via San Michele all’attuale Via Perino,

detta

strada del Fossale,

ora per gran parte inglobata nel parco della

villa La Torretta.

 

Posta fuori delle fortificazioni,

questa via

era certamente l’itinerario

seguito dai viaggiatori

diretti verso

l’antico ponte sulla Dora,

 

cosicché ai suoi bordi nacque il nuovo centro,

che mutuando il nome dalla chiesa contigua,

prese il nome di

borgo di Santa Maria.


Visitata l’antica parrocchiale detta anche della

Madonnina,

situata in un luogo magnifico,

e percorso un tratto dell’antica

Via Francigena

sino alla

via San Michele,

sede di una seconda cappella cosi titolata,

risalente al XVIII secolo.

 

L’edicola è chiusa da una cancellata

a comprova che non sono mancati nel tempo,

gruppi di fedeli, o anche di singole famiglie,

che hanno provveduto alla conservazione di questo luogo.


Notevole

Via Pescatore,

con le sue casette colorate ed il ponticello,

collegante il

parco della

Villa Maria Luisa,

con la proprietà frontaliera.


Questa villa,

edificata nel XIX secolo

in sobrio stile agreste piemontese,

un tempo proprietà della contessa

Virginia Basco,

 

sorta con il suo parco,

dopo la demolizione

delle casupole dell’antico borgo,

 

sembra riflettere ancora oggi gli aspetti di una ricchezza e di un mondo perduto.

 

Situata sul versante ovest della collina,

la proprietà si amalgama assai bene nel verde,

 

accanto ai rimasti casolari della Mazzè di un tempo.

 

Nel parco,

per merito della sua ridente posizione,

si possono ammirare alcuni rinserragli di piante esotiche veramente eccezionali, che aumentano l’amenità del luogo.
Analogamente, nello stesso periodo,

a sud della piazza della chiesa,

sorsero

villa La Torretta,

appartenente un tempo alla

principessa d’Ischitella,

e la

villa Mon Repos,

ora adibita a casa di riposo.

 

 

 

Costruite sulla falsariga dei palazzi nobiliari di campagna inglesi e francesi

del XVIII secolo,

rappresentano punti di interesse notevoli,

sia sotto l’aspetto architettonico,

sia sotto quello naturalistico,

per la varietà degli impianti arborei

eseguiti dagli antichi proprietari.
La torre, da cui trae origine la denominazione di

villa La Torretta,

domina una vasta distesa di campi e di parchi.

L’ingresso principale, eliminato il viale di accesso da sud,

è ora sulla piazzetta della chiesa,

riportandola al suo aspetto originario,

con un’ampia cancellata di ferro

che lascia intravedere un cortiletto di fini proporzioni.
Villa Mon Repos,
già proprietà dei San Martino di San Germano

raccoglie invece una vasta distesa di terreno,

in parte adibita a parco ed in parte a prati ed a boschi.

Posta in posizione meravigliosa

gode di in bellissimo panorama;

il palazzo è senza dubbio il più vasto fra tutti quelli citati

e si affaccia su una terrazza di dimensioni imponenti.

A metà secolo XX

fu frazionata:

un ala destinata a residenza privata

ed un’altra sistemata a

residenza per anziani.
Ammirato il bellissimo panorama

godibile dal Parco della rimembranza,

scendendo lungo la

Via Perino,

si transita accanto ad un’interessante

chiesetta

inserita all’interno dell’ex

villa Mon Repos,

pregevole esempio del

neogotico

imperante alla fine del XIX secolo.

 


Proseguendo lungo la

Via Perino,

superato un basso ponticello,

si può voltare a destra e dirigersi verso

il campo da tennis

posto poco oltre alla

chiesetta di San Giuseppe.

E’ possibile che questa cappella sia stata costruita

agli inizi del XVII secolo,

anche se la titolazione lascia dubbiosi sulla sua effettiva antichità,

ad ogni buon conto di un altare titolato a

San Giuseppe,

da conto il vescovo Asinari, nella visita pastorale del 1651.


Questa cappella,

o quella preesistente,

era l’ultimo edificio religioso che i pellegrini incontravano

nel concentrico di

Mazzè.

 

Il prossimo, titolato a

Santa Maria Maddalena,

costruito nel

1209

su istanza della congregazione

alla quale

il conte Guido IV

aveva donato

il ponte Copacy,

 

i viaggiatori

l’avrebbero trovato in prossimità

della Dora.
A sinistra s’incontra l’antica strada diretta al fiume,

 

ora detta

Via Santa Lucia

 

e la casa Del Grosso

raro esempio di villa padronale canavesana

del XIX secolo

 

perfettamente conservata e restaurata.

 

Notevole sia la parte civile che quella rustica.

 

Da ammirare, per i fortunati che ne avranno l’opportunità,

gli arredi interni, la corte ed il porticato emanante nostalgia d’altri tempi.

 

 

 

 

 



Livio Barengo – Maggio 2004 Copyright © 2001 [Mattiaca]. Tutti i diritti riservati.
Bibliografia:
Francesco Mondino - Mazzè - Memorie della mia terra – Falciola Torino 1978 Francesco Mondino - Cenni storici sulla architettura sacra in Mazzè, Bolognino
Ivrea 1986
Giandomenico Serra - Scritti sul Canavese - Corsac – Cuorgnè – 1993
Aldo A. Settia - Castelli e villaggi nell’Italia padana – Liguori – Napoli
Giovanni Ferrando - Relazione esplicativa sulle opere eseguite negli anni
1878 1879 all’interno della chiesa parrocchiale di
Mazzè – Archivio della parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio.
Francesco Cognasso – Il Piemonte nell’età Sveva – Torino 1968 –
Deputazione subalpina di storia patria.