PIETRO AZARIO

DE BELLO CANEPICIANO

(1312-1367)

Mappa della spartizione del Canavese in casati

 


Le tappe fondamentali

della storia di Mazzè

dal 1100 al 1800


Tratto dal libro 

"Mazzè memorie della mia terra " 

di

Francesco Mondino

 

 

Nota sull'autenticità

del diploma di

Arrigo IV

(vedi testo)
"Di questo documento, databile tra il
1740 e il 1744,
manca
l'originale
e l'unica trascrizione è contenuta nella
"Collettanea Maxini"
una
collezione privata di antichi documenti
ad uso della famiglia Valperga Masino,

ed è certamente un falso.
Esiste una discrepanza
tra la data
della bolla
e quella della
morte di
Enrico IV.
Nel 1110 questo imperatore
era morto
e le caratteristiche
(quarto anno di regno)
si addicono al figlio
Enrico V
Poichè i
Valperga
si dichiaravano feudatari imperiali
un simile errore è abbastanza incomprensibile.
Pare però che
in origine questa bolla
fosse indicata come una riscrittura di una precedente emessa

da Enrico IV
nel 1100
Ma la presenza nel testo del
termine
"valpergato"
vocabolo usato solo a partire dal XIII secolo

ne infirma completamente l'autenticità.

Il documento ha comunque qualche interesse
perchè recepisce tradizioni familiari
di qualche importanza storica
della casata dei
Valperga
e fu usato dal conte
Carlo Francesco Valperga Mazzè
nel corso di una causa.

 

In realtà l'infeudamento dei
Valperga Mazzè
si deve all'imperatore
Federico II di Svevia
che nel
1237
li creò
signori del
Borgo e della Dora Baltea dalla Pietra Mora
ai Rastelli di Saluggia,

nominandoli parimenti

"Conti di Mazzè"

 

Livio Barengo



ritorno a:

"Mazzè memorie della mia terra " 

di

Francesco Mondino

 

 

L’epigrafe murata nel
castello
di Mazzè
nel 1859
richiama i
“DCC anni di vita castellana e guerriera”

(700 anni di vita castellana e guerriera)

 

dandoci un’esatta rispondenza
colle notizie che abbiamo intorno a questo centro
e che sono contenute in un diploma di
Arrigo IV
(successivamente alla stesura del testo del Mondino
e alla sua prematura morte,
è risultato che questo diploma è un falso d'autore,
vedi nota sopra)

 

dato ad Ivrea
nelle calende del mese di dicembre dell’anno
1100
con il quale vengono riconosciuti alcuni privilegi in favore di
Guido e Ottone Valperga
Conti del Canavese
“ Quocumque nomine juste et rationabiliter tenent et possident in toto Canavisio, cum castris, villis, locis, caslibus, terris, possessionibus, territoriis, districtibus, juribus, jurisdictionibus, propietatibus et pertinentiis quibuscumque, Valpergiae, Valpergatus, Masini et Massadii, Candiae at Castiglioni…”

Il diploma di Arrigo IV
dopo aver indicato i feudi di cui erano investiti i
Valperga
specifica anche i beni e le attività che costituivano il pacchetto delle prerogative a favore dei nobili,
sotto forma di:
” …concessione bonae monetae, furnis, molendinis acquis acquarumque decursibus, psicationibus et venationibus, mercatis, fodris, bannis…”
sottraendo agli abitanti del luogo
il libero e autonomo uso delle principali fonti di vita.

 

Da ciò si deduce,
dunque,
che questi erano sottoposti ad una stretta sudditanza,
oltrechè al preciso obbligo di servirsi esclusivamente degli
“artifici”
e delle industrie dei nobili,
per i loro bisogni
e
per il loro sostentamento.

 

Il rinnovo delle investiture
del
feudo di Mazzè
ai nobili
Valperga
si ritrova successivamente
dopo la
pace di Costanza
conclusa nel
1183
tra
Federico Barbarossa e i Comuni Lombardi
quando crebbe in potenza
la dominazione dei
Baroni
in Italia

 

I Conti
divenuti poi
Duchi di Savoia
Vicari dell’Impero
e investiti
dell’intera giurisdizione del
Canavese
riconobbero e riconcessero ai
Valperga di Mazzè
con vari diplomi
l’intero feudo di questo luogo.

 

 

Verso l’inizio del
secolo XIV
tra i
signori di Mazzè
e i
Principi di Savoia
nascono profonde discordie
e
contrasti
per la pretesa di questi ultimi
di ottenere dai
Valperga
atto di sottomissione e di fedeltà

 

Reinero
e
Bertolino da Mazzè
con un accordo del
21-12-1313
convengono
anche a nome dei loro fratelli
di prestare fedeltà
ad
Amedeo Conte di Savoia
e al
Principe Filippo d’Acaja

 

richiedendo in cambio
oltre che protezione ed aiuto
tutte quelle concessioni che
”…eventualmente dovessero essere concesse ad altri nobili”

 

 

Si riconfermano
poi nel tempo
tutte le prerogative concesse
con il diploma di
ArrigoIV
prima a favore del
Conte Guglelmo
il
9 giugno 1317
poi a
Pietro di Mazzè
da parte del
Conte Aimone di Savoia
con patenti del
6-2-1341
a
Giovanni di Mazzè
e altri in data
27 gennaio 1372
ad
Antonio di Mazzè
e altri
l’8-10-1379
e
il 4-6-1384
in seguito
ancora con
l’imperatore
Sigismondo
il quale
volendo rimunerare
e
riconoscere
la fedeltà
e l’opera
del castellano

 

Giorgio Valperga

 

per la difesa della fede cattolica
e dello
Stato
detta a
Vienna
Il 24-7-1430
tutti i diritti di cui viene investito
“ Cum poderio castri
Massadii
et
totius eius
Castellaniae,
Quadroni,
Castri Castiglioni
et
Candiae,
cum tota eius jurisdictione,
loci
Rondezoni…”
più avanti con
Ludovico di Savoia
il
17-6-1441
quando i
nobili di Mazzè
Tommaso
e
Giorgio dei Conti di Valperga
gli rendono omaggio di fedeltà
e nel
1654
ad opera del
Duca Carlo Emanuele

 

 

 

L’ultima investitura
è quella del
7-7-1787
la quale dimostra che
nella persona del
Conte Francesco Valperga di Mazzè
si era raccolta
la piena giurisdizione
feudale
del luogo
con tutte le ragioni indicate nei precedenti diplomi

 

 

Di questo ramo
da cui ne uscirono tanti altri minori
tra cui i
Masino
i Marchesi di Caluso
i Monteu
ecc.
le notizie esistenti
non trascurano i personaggi più importanti e
fra essi,
Catalano
(1448)
Dama Margherita
(1528)
il
Conte Francesco
(1662)
Il Conte Tommaso
(1666)
il Conte Antonio
(1710)
e infine
l’ultimo dei Valperga
il
Conte Francesco
col quale si estinse
nel
1840
il ramo.

 

In mezzo a passioni e intrighi
a discordie e a reazioni
i
Valperga
si trovarono spesso
ad affermare il loro potere
con alleanze e patti
che li allinearono
alternativamente
a seconda degli interessi in gioco
ora con gli uni ora con gli altri dei più potenti.

 

Dopo una prima cessione fatta al
Comune di Vercelli
(1141)
tornarono a vendicarle
per creare un colonnellato
ed in seguito si unirono in consortile
con i
Biandrate
(1268)
per muovere le ostilità
contro i
conti
di
San Martino.


Nel
1168
si formò una
lega
fra i
conti del Canavese
con lo scopo di stringere patti
e muovere guerra.

 

Essa era principalmente rivolta
contro i
marchesi di Monferrato
che aspiravano a
signoreggiare
su queste terre.

 

Non ebbe però vita duratura.

 

Ben presto cominciò a sgretolarsi
soprattutto per motivi politici
che avevano la loro causa principale
nelle continue ingerenze dei
Savoia
e degli
Acaja
i quali volevano estendere le loro mire nel
Canavese
e imporre il loro dominio.

 

Erano i tempi delle infauste fazioni tra
Guelfi
e
Ghibellini
che diedero luogo a lotte funeste,
non soltanto in
Canavese
ma anche nel resto d’Italia.

 

In questi territori
le lotte
le fazioni
gli intrighi
generarono ostilità fra i
San Martino
e i
Valperga
i primi di parte
Guelfa
con l’alleanza dei Vescovi e delle Abbazie
i secondi
di parte
Ghibellina
cui erano alleati i
Biandrate
e i
Masino
guidati dal
marchese di Monferrato
I
marchesi di Monferrato

 

i
Biandrate
gli
Angioini
avevano tenuto questo territorio
per circa due secoli
il XIII e il XIV
e durante questo periodo
Mazzè
ebbe alterne vicende di sudditanza.

Vi fu un accordo
intervenuto fra
Guglielmo di Masino
e
Ardoino di Valperga
nel 1193
per il quale
il feudo di Mazzè
venne assegnato a
Reinero
figlio di
Matteo il Grande
conte di Valperga
poi un atto di fedeltà
al
Vescovo di Ivrea
nel 1252
in base al quale
Ardizzone, Giovanni e Raimondo Grignardi
di Mazzè
gli assicurarono le terre
che si estendevano
sulle rive del
lago di Candia

 

Le contese più accese
si ebbero quando
Filippo d’Acaja
guelfo
tentò di porre il proprio dominio
su questi territori
(1323)
Fervevano già allora
aspri contrasti fra
i
San Martino
e
i
Valperga
e non fu difficile per i primi
cogliere questa occasione
per rafforzare il proprio potere e la propria influenza.

Si allearono infatti
con gli
Acaja
portando il peso e il numero delle loro varie casate.

Ma anche i
signori di Mazzè
non trascurarono i loro interessi e
pur considerando l’alleanza dei

 

San Martino
loro dichiarati nemici

 

si appoggiarono agli
Acaja
per appianare le profonde divergenze
che erano sorte con
i signori di Castellamonte, di Vische e di Orio
per il possesso dei castelli
di Candia, di Carrone, e di Castellazzo,
rimasti indivisi
e oggetto di forti contese.
In quel frangente,
gli
Acaja
con abile e studiata mossa
presero a cuore le rivendicazioni dei
signori di Mazzè
e dopo aver allestito un esercito di uomini reclutati a
Torino, Pinerolo, Moncalieri e Rivarolo
notificarono
ai signori di
Castellamonte, di Vische e di Orio
che avrebbero considerato ribelli
tutti coloro
che si fossero comportati da nemici
verso quelli di
Mazzè.
Questo intervento ebbe momentaneamente il suo effetto
e i vari contendenti si riunirono
per concludere un compromesso di pace
col
Principe.

 

Dal modo in cui si svolsero in seguito gli eventi
pare che tale compromesso non abbia soddisfatto pienamente
i Conti di Mazzè
perché questi,
nel
1338
passarono nelle fila dei
Ghibellini.
 

Alla morte di
Filippo d’Acaja
avvenuta a
Pinerolo
il 25 settembre 1334
i contrasti si accentuarono.

 

Il figlio
Giacomo
che gli successe
marciò contro
Giovanni II di Monferrato
con lo scopo di conquistare
Caluso

 

Una congiura
ordita ai danni di
Giacomo d’Acaja
venne sanguinosamente repressa
e il capo dei congiurati
certo
Botta di Stefano
venne trascinato per le vie di
Caluso
e
impiccato
con molti altri suoi compagni.

Forse
per l’infedeltà dei
Valperga
dapprima alleati degli
Acaja
e poi passati nella schiera dei
Ghibellini
forse per fiaccare la loro forza
e portarli nuovamente al rango di gregari
Giacomo
ordinò alle sue truppe
di marciare su queste terre.

Il
9-9-1338
con una lunga marcia notturna
raggiunse
Foglizzo
invase le sue terre e le sue case
e l’incendiò
poi si riversò su
Mazzè
saccheggiando tutto ciò che trovò sul suo cammino
depredando la popolazione, uccidendo molti dei suoi abitanti e
distruggendo i mulini.

Qualche giorno dopo
riservò la stessa sorte a
Candia e Mercenasco.
Molte persone, che gli avevano resistito, trovarono la morte sul campo
mentre i superstiti furono portati a
Torino
come prigionieri.
 

 


La vendetta di
Giovanni II di Monferrato
e dei
Valpergani
intanto
seminò nuovi lutti e nuove distruzioni.
Per punire i misfatti di
Giacomo
e passare alla controffensiva,
vennero assoldate in
Lombardia
(1339)
bande di ventura.

 

Il compito di formare questo esercito di avventurieri,
venne affidato a
Giovanni Azzario
zio del cronista novarese e autore del
“De bello canapiciano”
che ebbe l’appoggio di
Azione
Visconte di Milano.

La nuova truppa
forte di
300 uomini
(barbutas trecentum)
sotto la guida di certo
Malerba
( un avventuriero tedesco di triste fama, il cui vero nome è Roberto Givert)
penetrò nel
Canavese
(13-7-1339)
varcando
il fiume Dora
attraverso un ponte di pietra
allora esistente nei pressi di
Vische.

 

Alle truppe del
Malerba
si associarono squadre di
Valpergani
che a
Vische
diedero l’assalto al villaggio
e al castello, incendiandoli.

Gli assalitori
incitati dai
mazzediesi
nemici giurati
dei
San Martino
si riversarono poi su
Sparatone
nei pressi di
Caluso
il cui castello,
adagiatesi su di un’altura
vicino al
lago di Candia
fu raso la suolo
(muros diruerunt).
 

Ma le scorrerie del
Malerba
e degli altri
Ghibellini
suoi alleati
non si esaurirono qui.

 

Ne soffersero
Barone
le cui mura vennero abbattute e molta gente uccisa
Montalenghe
il cui castello dovette cedere all’irruenza dei nuovi arrivati
e ancora
Orio
Rivarolo
le terre delle abbazie di San Benigno
i cui raccolti furono completamente distrutti
Favria, Front, Barbania.

Di fronte a tanto scempio e tanta distruzione
c’era da aspettarsi che i
San Martino
preparassero
il momento della rivincita
contro le forze del
Valpergato
e dei loro gregari.

 

 

L’occasione
fu loro offerta dall’appoggio che i
signori di Mantova
loro parenti
diedero in quel frangente
mandando cento barbute
al comando di
Saraceno Cremaschi.

 

Questo condottiero
capitano di ventura anch’egli
si introdusse nel
Canavese
attraverso la
Serra.

 

Giunto a
Cavaglià
riassettò il suo piccolo ma potente esercito.

 

Passato alla controffensiva
mise a ferro e fuoco le campagne ed i villaggi dei
Ghibellini
assaltando
Valperga e Salassa
dove subì una dura sconfitta da parte dei
Cuorgnatesi.

 

Riversatosi nel
basso Canavese
si scontrò con i
Valperga
dove trovò la
morte
il conte
Antonio Valperga.
 

Le acque si acquietarono un po’
quando il
Cardinale Guglielmo Corti
per incarico del
papa Clemente VI
concluse a
Tortona
(21 maggio 1343)
una tregua d tre anni.

 

L’inosservanza del trattato comportava pene severissime per i firmatari
( i Principi d’Acaja, i Visconti, i marchesi di Monferrato e di Saluzzo,
i conti di Valperga,
di San Martino,
i signori di Castellamonte e di Vische),
fra cui anche la scomunica.
 

Avevano, intanto, cominciato ad infiltrarsi anche i
Savoia
cui ricorrevano
molti feudi minori
a tutela dei propri interessi.
In una convenzione stipulata nel
1378
appare che il
Conte Verde
(Amedeo VI di Savoia)
accordandosi con il marchese
Secondotto di Monferrato
erede del padre
Giovanni II
morto nel
1372
concede a quest’ultimo
Verolengo e Caluso,
riservando invece ai nobili
della sua Casa
i feudi di
Leiny
e di
Mazzè.
 

Gli avvenimenti che seguirono
per regolare i diritti,
la libertà, la giurisdizione,
non mutarono, tuttavia,
gli animi esacerbati dei singoli contendenti.

Da parte di vari signori si rinnovarono le pretese per questo o quell’altro feudo
e anche per
Caluso
nacquero profonde discordie fra i
Biandrate
e i
Valperga.

 

In questa contesa si intromise anche certo
Antonio di Mazzè
più noto come guerriero e guastatore.

 

Egli pretendeva e rivendicava
diritti
su
Caluso
per aver sposato
Giovanna
figlia di Enrico,
Signore di
Caluso.

Dopo vane petizioni al
Conte Verde
Antonio
vistosi trascurato nei suoi reclami e nelle sue richieste,
meditò una feroce incursione nel
Canavese
saccheggiando e depredando
i possedimenti dei conti di
San Martino
amici del
Conte Verde

Fra i centri maggiormente colpiti da
Antonio
fu senza dubbio
Vische
che subiva in quel tempo il suo secondo saccheggio.

 

Egli venne qui di notte
(1382)
e avendo trovato una valida resistenza al castello,
rapinò e spogliò l’intero villaggio appiccandovi poi il fuoco.
 

Ad una tregua seguita con la mediazione di
Gian Galeazzo Visconti
il Canavese
fu nuovamente scosso dalle prepotenze di
Facino Cane
capo di bande mercenarie assoldate da
Teodoro
succeduto a
Secondotto di Monferrato.

 

La causa o il pretesto di tali scorrerie
che degenerarono in crudeltà e violenze verso la popolazione e i loro beni
sembra da ricercarsi
nella inadempienza di alcuni patti che erano stati stipulati fra
Secondotto
quando era ancora in vita
e
Amedeo VI.

 

Teodoro
dovette affrontare una dura battaglia
ma venne sconfitto sotto le mura di
Chivasso
(1387)
Si rifece presto, occupando la
contea di Caluso.

 

 

Durante le lunghe lotte per il possesso dei feudi canavesani,
i signori di Mazzè
furono largamente rappresentati nelle opposte fazioni.

Quando, ad esempio,
Amedeo V
si accordò con
Filippo d’Acaja
per eliminare i predatori che infestavano le contrade del
Canavese
diedero il loro assenso anche
Uberto e Bartolomeo de Mazadio.

 

Nel 1313
i conti di Mazzè
rendono omaggio
al
Conte di Savoia
nel
1362
un
Bertolino di Mazzè
col fine di danneggiare
il marchese di Monferrato
consegna al
duca di Milano
i vicini castelli di
Candia e Castiglione
un
Bernardo di Mazzè
militava nella guerra del
1452
contro lo
Sforza
nelle schiere sabaude.

 

Fatto prigioniero, venne sottratto con astuzia da
Ludovico Valperga di Ropolo,
suo acerrimo nemico
che volle sfogare il suo odio,
sommergendolo nel Ticino.

 

Si stava intanto delineando la fine di un
epoca tormentata e l’inizio di un periodo di
relativa tranquillità.
 
Uno dei primi atti
di questo segno di rinnovamento
fu l’accordo fra i vari nobili
per la definizione dei confini territoriali
ed i primi ad esserne interessati
furono i
signori di
Vische
che nel
1417
avevano ceduto alcuni beni feudali
situati in quel Comune
ad un certo
Antonio della Valle di Mazzè.

Teodoro
e
Giovanni di Mazzè,
inoltre
avevano una delicata vertenza che riguardava
la linea di confine fra i due comuni.

 

 

Si pensò di affidare pacificamente la soluzione del problema al
Consiglio ducale
Vennero nominati due arbitri
e dopo sopralluoghi, accertamenti e discussioni serene,
venne concordato un atto di divisione
(2-5-1438)
con l’intervento di autorevoli personaggi
tra cui i
conti di San Giorgio, di Castellamonte, di Agliè, di Settimo e di Masino.

 

La cerimonia di stipulazione dell’atto
ebbe luogo in aperta campagna
in una regione denominata
Follone
situata fra
Mazzè e Vische
e in quella occasione
vennero interrati
quindici grossi termini di pietra
uno dei quali
è ancora oggi visibile
subito dopo il nucleo abitato della
cascina Vallo
a qualche metro di distanza dall’ultimo fabbricato di proprietà di certo Rolfo Francesco.

Risulta che le autorità comunali dei due paesi
eseguivano ogni anno
con l’intervento del
conte Valperga
una verifica per accertare la presenza e la stabilità dei termini,
provvedendovi con opere di consolidamento e di misurazione.

 

 

Anche con la
comunità di Rondissone
venne stipulata una convenzione
al termine di una lunga disputa relativa ai confini territoriali.
Ad essa aderirono i rappresentanti del
Duca di Savoia
e
del Duca di Mantova
che intervennero per porre fine ai contrasti
e pacificare gli animi
e per definire i confini
fra i due territori colla posa dei termini.

 

 

 

Il Canavese

diventa provincia

francese


Dopo un periodo di relativa calma e tranquillità,
ecco un nuovo mutamento di scena.

Il secolo XVI
vedeva nuovamente queste territori sconvolti dagli avvenimenti che impegnarono
Francia e Spagna
in guerre fratricide.

 

Rivelandosi una superiorità
del dominio francese
in
Italia
apparvero subito deboli
i patti precedentemente stretti
tra queste due potenze.

 

Fu subito chiaro che la lotta
per la supremazia in
Italia
da parte dei
principi italiani
non era affatto cessata
ma si era trasferita a due potenze straniere
che si sarebbero conteso
il predominio sul nostro suolo
con la perdita della nostra libertà.
 
 
La scintilla che provocò la guerra
nella sua prima fase
fu l’azione di
Francesco I di Francia
che aveva fornito aiuto al
re di Navarra
il quale appoggiava i ribelli
alla corona spagnola.

 

Inoltre
i francesi erano entrati nelle
Fiandre
e, durante le loro scorrerie e i loro saccheggi,
erano stati più volte respinti.

Già nel
1516
dopo la
pace di Noyon,
i due sovrani
si erano divisi
l’Italia
in due sfere d’influenza

 

la Spagna
conservava
i regni di Napoli, di Sardegna e di Sicilia

 

la Francia
otteneva
Milano
e controllava
i ducati degli Este
e dei Savoia
e la
Repubblica di Genova

 

 
 

Nel 1529
in conseguenza della
pace di Cambrai
la Francia
scompariva completamente
dall’Italia settentrionale
ma vi ritornava più tardi
annettendosi il
marchesato di Saluzzo
e occupando
quasi l’intero
ducato di Savoia.

 

Il
marchesato di Monferrato
passava invece ai
Gonzaga

 

Quando infine
nel 1559
si arrivò alla
pace di Cateau Cambresis
Emanuele Filiberto
rientrava in possesso del suo ducato
ma doveva subire che
Francesi e Spagnoli
occupassero ancora molte città del
Piemonte
fra le quali
Torino
Questo, molto succintamente, la situazione di quel tempo.
 
 


Ma veniamo ai fatti di casa nostra.
Nei primi anni del
1500
il Canavese
divenne
provincia francese
e
Mazzè
veniva da questi occupata nel
1536
per mezzo del loro capitano di ventura
Torregiano.

 

La trattennero per poco
perché vi subentrarono gli
Spagnoli
comandati da
Cesare Maggi di Napoli
che accorso al contrattacco,
scacciava da
Mazzè
Emilio Greco
che
Torregiano
vi aveva posto come governatore.

 

In quell’occasione fu concesso ai
Francesi
che si erano assestati
sulla linea della
Dora Baltea
di uscire da
Mazzè
con tutte le loro armi
ed il loro equipaggiamento.
 
 

Gli anni che seguirono
non furono migliori
perché gli avvenimenti succeduti non mutarono affatto
il volto della contesa
franco-spagnola.

 

L’ostilità fra i due belligeranti
fu una profonda piaga per la nostra popolazione
per i nostri Comuni
finchè nel
1554
i
Francesi
dopo un primo tentativo fallito
si portarono all’assedio di
Ivrea.

Si distinse allora un brillante ufficiale francese
Carlo Cossé conte di Brissac.
Favorito dai
Piemontesi
che erano stanchi del giogo e della prepotenza degli
Spagnoli
concentrò su queste campagne un esercito forte di
18.000 fanti
e
12.000 cavalli
e nel mese di dicembre di quell’anno
mosse all’assedio della città eporediese.

 

Gli
Spagnoli
inferiori per numero
e per armamento
furono costretti a cedere
e ad abbandonare la città alla volta di
Vercelli.
 
 

Intanto la
Francia
rimaneva padrona del
Piemonte
e si fortificava nelle città più importanti.

Il generale Brissac
divenuto poi maresciallo
per i brillanti servizi resi al suo paese
rivolse le sue mire su queste terre e
dopo un richiamo in
Francia
ritornò
scegliendo come sua dimora e residenza
il feudo di
Caluso
di cui si era invaghito.

Fu colpito dalle tristi condizioni delle campagne e dalla povertà dei suoi abitanti.
Studiò il modo di trarre
Caluso
e le terre circostanti dalle ristrettezze e dalla miseria in cui languivano
e fece elaborare un piano
per irrigare l’arida campagna.
 
 

Ottenuto l’autorizzazione del suo sovrano
Enrico II
il quale amava definire il
Canavese
“Il bel paese di conquista”

 

acquistò subito i terreni necessari
e fece scavare l’alveo
per immettervi le acque
che avrebbe poi fatto derivare
dal fiume
Orco
nei pressi di Spineto
vicino a Castellamonte.

Caluso
vide il canale in funzione verso la fine dell’anno
1559
e ne trasse subito un enorme beneficio.
 
 

Oltre due secoli più tardi
nel 1765
a questa
“bealera”
venne collegata la
roggia comunale di
Mazzè
dopo aver ottenuto la concessione
di una ruota d’acqua derivata dal canale
per l’irrigazione delle sue terre.

Quando le truppe francesi
sgombrarono definitivamente il
Piemonte
il Brissac
cedette le prerogative sul
canale di Caluso
a certa
Anna di Alençon
marchesa di Monferrato.
 
 
 

Durante la guerra

franco-spagnola

i Francesi

passano in rassegna generale nelle campagne di

Mazzè.

 

La guerra
franco-spagnola
per il possesso delle terre
in
Piemonte
aveva ridotto le nostre contrade in condizioni pietose.

La desolazione che vi regnava
aveva spinto molti abitanti ad abbandonare i campi
e a rifugiarsi in paesi lontani
e più ospitali, in cerca di nuove fonti di vita.

La campagna
era stata ridotta ad una piana inselvatichita.
Alcuni territori
come quelli di
San Giorgio e di Caluso
ebbero la fortuna di riprendersi
grazie alla provvidenziale opera del
Brissac,
ma fu un lavoro duro
una ripresa laboriosa.

Sembrava che ormai spirasse
un’aria di pace e di prosperità economica.

Era però destino che tali segni non fossero che
sottili illusioni.
 
 
 

La fine del
XVI secolo
infatti
tornava ad aprire le porte a nuove sopraffazioni
in conseguenza
della seconda fase del predominio
spagnolo
che non era riuscito ad asservire la
Francia.

La situazione generale
si complicherà ancora di più
agli inizi del
XVII secolo
con la prima guerra
per la successione del
marchesato di Monferrato
 
 

Le avventurose iniziative e le ambiziose mire di
Carlo Emanuele I
che sognò financo una corona in
Albania
aggravarono ancora la situazione già di per se tesa.

Nel
1610
il Duca
si alleava con
Enrico IV di Francia
che decideva di muovere guerra alla
Spagna
e concludeva con il monarca francese
l’accordo segreto di
Brufolo
ma
Enrico IV
moriva
poco dopo
pugnalato da un fanatico
ed egli si trovò solo a fare i conti con gli
Spagnoli.
Lo salverà fortunosamente una
mediazione veneziana
e
il Duca
riprenderà le proprie manovre
(1611)
per avanzare pretese sul
Monferrato
traendo motivo dalla morte di
Francesco II Gonzaga
suo genero.

Venezia,
intanto
sospettando che la
Spagna
volesse fomentare
la contesa
per impadronirsi
del territorio del
Monferrato
inviava aiuti ai
Gonzaga

 

Il governatore spagnolo di
Milano
accortosi di tale mossa
impose allora alcune condizioni al
Duca Sabaudo
ma questi
non solo
non obbedì
ma gli tenne coraggiosamente testa
con le sue truppe
in una guerra
che si protrasse per lungo tempo.
 
 

Durante questa guerra
le nostre campagne ebbero molto a soffrire
a causa dei frequenti e massicci passaggi
delle truppe francesi
che appoggiavano l’esercito del
Duca
impegnato contro
gli Spagnoli a
Vercelli.

La lega
Venezia-Ducato di Savoia-Francia
si rinnovava ancora nel settembre del
1624
e la
Spagna
tentava ancora di infrangere
questa alleanza
invitando
prima con le promesse,
poi conle minacce
Carlo Emanuele I
ad uscirne.

 

Ma visto vano ogni tentativo
allestì un esercito di
spagnoli e di lanzichenecchi
e da
Milano
si portò all’assedio di
Verrua
con l’intenzione di marciare su
Torino.
 
 

Carlo Emanuele I
prevenì le intenzioni degli
Spagnoli
facendo avanzare su
Chivasso
alcuni reggimenti
e comandò che la cavalleria
si appostasse nei pressi di
Verolengo
allineandosi sulla riva destra del fiume
Dora Baltea.

Sopravvenuta la notte
fece traghettare tutte le sue truppe
sull’altra sponda del fiume
servendosi delle barche ancorate
ai porti natanti di
Mazzè e Vische
ed il mattino dopo
con una marcia forzata
raggiunse il forte di
Verrua
per dare manforte agli assediati.

Gli
Spagnoli
tentarono parecchie volte
l’assalto al forte
ma furono sempre respinti.

 

Nel mese di novembre
gli assediati
colta l’occasione propizia
tentarono
la sortita dal forte e
con impeto e irruenza inauditi
si scagliarono contro le truppe nemiche, facendone strage.

Ancora nel
1628
alla ripresa
della seconda guerra del
Monferrato
i nostri territori furono invasi e calpestai dagli eserciti belligeranti.
 
 

La causa di questa seconda lotta
per la successione del
Monferrato
fu determinata
dall’estinzione del ramo dei
Gonzaga
per cui il
Marchesato
stava per essere ceduto
ad un ramo cadetto di
Francia
i Gonzaga-Nevers.

La Spagna
vide di malocchio tale evenienza
e cercò ancora un’alleanza col
Duca Sabaudo
per una divisione di quel territorio.

 

Carlo Emanuele I
si impadronì della sua parte del
Monferrato
ma anziché portare aiuto al
governatore spagnolo di
Milano
Don Ponzalo Fernandez de Cordova
gli creò ancora seri problemi
tentando di impadronirsi di
Genova.
Nella lunga e difficile contesa
intervenne il
Cardinale Richelieu
obbligando gli
Spagnoli
a togliere l’assedio di
Casale.
 
 

I fatti che seguirono
non ci riguardano direttamente
se non per un breve periodo
che si innesta nel periodo della
guerra dei trent’anni
e che è connesso con la successione di
Vittorio Amedeo I
per la quale si accesero aspre lotte civili,
svoltesi principalmente nel
Canavese.

Fu durante queste lotte
che i
Francesi
muovendo all’assedio di
Ivrea
(1641)
passarono rassegna generale
delle proprie truppe
nelle campagne di
Mazzè
e qui trovarono anche un’importante posizione per varcare la
Dora Baltea
servendosi dei
porti natanti
sul fiume.

 

 

 

Su
Mazzè
fino alla metà del
XVIII secolo
non vi sono che pochi accenni
sufficienti tuttavia per farci capire
le condizioni della nostra popolazione
soggetta a tutte le
prerogative feudali
di cui erano investiti i
signorotti del luogo.
 
 

Giungiamo sul finire del
XVIII secolo
per trovare documentazione
di una grande controversia tra i
conti Valperga di Mazzè
ed il nobile
Vassallo Moriondo Giuseppe Pasteris
per la costruzione di
un porto
sulla sponda sinistra della
Dora Baltea.

Esistevano allora sul tratto di questo fiume
scorrente nel territorio di
Mazzè
due porti natanti
uno in prossimità dell’attuale
centrale idroelettrica
sulla sponda destra
e l’altro assai più in giù
sulla sponda sinistra
nelle vicinanze del ponte
detto di Rondissone.
 
 
 

La vertenza
tra i due nobili
durò a lungo
ed ebbe uno strascico anche presso il
Supremo Magistrato.

 

Si risolse a favore del
Conte Valperga
al quale venne riconosciuto
”…il possesso antichissimo,
mediante le persone dei suoi antenati
ed Antecessori nel
Feudo di Mazzè
del diritto competentegli
dei porti sovra
il fiume Dora
e delle ripe
di questo da entrambi le parti
per l’estensione di nove piedi aliprandi
e per quanto si estendesse il corso di esso fiume
dal punto denominato
Pietra Mora,
sino al Rastello,
fini di Saluggia”.
 
 

Questi porti
la cui sorveglianza e attività
erano affidate
ad agenti fedeli e devoti ai nobili
costituivano
per le finanze dei feudi
insieme
ai forni e ai mulini
fonti di notevole entrata.

Oltre ai porti natanti, ai forni e ai mulini,
molte altre prerogative
come ad esempio
l’esclusività della pesca sul
fiume Dora Baltea
erano soggette al diritto di
“bannalità”
ed è stata sicuramente l’inumana applicazione di questi principi
che spinse più tardi
la popolazione di
Mazzè
a covare nell’animo propositi di
ribellione e di vendetta.
 
 

La prima spinta
a sottrarsi al peso della violenza e dell’arbitrio
venne proprio da una
concessione fatta
l’11-12-1765
in virtù della quale
la Comunità di Mazzè
ebbe la facoltà
di estrarre dalla
“ bealera di Caluso”
una ruota d’acqua
(12 once)
per
“...condurla nel territorio della Comunità
e destinarla nel modo migliore
che fosse stato stimato a vantaggio del pubblico”.

Le spese incontrate
per l’acquisto del terreno e per l’escavazione
del canale di irrigazione
e la tassa annua fissata dalle R.Patenti
rappresentarono allora
un pesante onere
sia per la popolazione
che per il Comune
che accettò e
assunse tutti gli impegni.
 
 

Le dichiarazioni
e le condizioni
nel documento originale
rappresentano ancora oggi
le clausole comprovanti un diritto che
Mazzè
gode da circa
duecento anni
e che regolano tutt’ora
questo corso d’acqua comunemente denominato
“Roggia di Mazzè”

 

Esse dettano testualmente:

che la derivazione d’acqua suddetta
si eseguisca bensì in quel territorio e sito
che detta
Comunità
crederà più conveniente
per condurla alla sua destinazione

 

ma però il bocchetto
o sia regolatore per l’estrazione dell’acqua dalla bealera
debba essere costrutto
e mantenersi
dalla
Comunità
nella forma
che verrà giudicata prescritta dal
Perito deputato
per parte del
Regio Patrimonio”.

che le spese della
derivazione
e formazione del bocchetto suddetto
e così tutte le altre
che potranno esse necessarie
per condurre l’acqua alla sua destinazione
siano interamente a
carico della
Comunità.

“ che la
concessione
dell’acqua suddetta
si intenda continua
salvo in tempo della curatura
dei detta
“bealera”
e in casi di
indispensabili riparazioni d’essa
cagionate da qualche particolare incidente.

 

E tale concessione
mediante l’annua somma
di lire 2 mila
da corrispondersi
da detta
Comunità
alla
Regia Finanza
in fine di ogni anno
principiando dal prossimo anno
1766”.

 

 

 

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