Francesco Mondino:
"Mazzè memorie della mia terra"
Le colline moreniche,
sull'ultima delle
quali si adagia parte dell'abitato di
Mazzè,
si formarono durante il
lento cammino di un
che,
La massa di ghiaccio, nota come il
Ghiacciaio Balteo,
premendo da nord,
Sulla linea Cavaglià'- Caluso,
sembra che avesse una larghezza di 30
km.
ed uno spessore che superava i 1000 m.
Questa enorme massa di ghiaccio,
nel suo lento e quasi impercettibile movimento verso la pianura,
scavò ed erose i monti circostanti ,
si caricò di terra, di roccia, di sabbia
e di altro vario materiale,
trasportando il tutto verso il piano.
Con il ritiro
e lo scioglimento del ghiacciaio,
l'enorme volume di detriti, che esso trasportava,
venne rovesciato e abbandonato sulla pianura,
le
così dette morene,
che diedero origine al meglio conosciuto
Le colline di Cavaglià, Maglione, Borgomasino,
Moncrivello, Mazzè, Caluso, Montalenghe e Vialfrè
non sono altro
che il residuo di quel complesso di materiali,
depositati in cordoni concentrici,
che formavano
Le colline di Brosso e la Serra,
invece, costituiscono
il gigantesco cumulo di sassi, di terriccio, di tufo, e di altro materiale
che
il ghiacciaio portava sui dorsi destro e sinistro:
due morene di grandi proporzioni,
che oggi formano uno spettacolo e un paesaggio
fra i più belli che la
natura abbia potuto creare.
La pianura abbracciata dal grande anfiteatro
morenico,
in tempi molto remoti, era un
nel cui centro scorreva la
Dora Baltea.
Di esso, però,
non si fa alcun cenno nelle vecchie carte geografiche,
né presso gli
scrittori romani.
Ciò fa pensare che il suo prosciugamento abbia avuto
luogo in epoca molto antica.
Aveva il suo punto di maggior pressione
tra Mazzè e Barengo,
e poiché la corrente interna spingeva
in direzione Pavone-Mazzè,
fu più facile incidere la collina morenica
e ricavare uno sbocco per
il deflusso delle acque.
Quando il livello di questo
scese,
o, come sostenuto da un'altra versione,
dopo che il grande specchio
d'acqua,
che allagava il Canavese,
riuscì ad infrangere,
con la sua potenza
erosiva, la morena frontale,
tutta la conca si restrinse,
trasformando il territorio
in una vasta zona paludosa e,
dove non potè,
per ragioni naturali,
riempirsi
di melma,
lasciò delle incavature
che continuarono ad essere occupate
dall'acqua,
originando i laghi intermorenici di
Candia e Viverone.
Anche la
Dora trovò facilmente,
nella corrente,
la sua sistemazione,
aprendosi
la via in terreni facilmente friabili
e sbucando a Mazzè.
Al suo formarsi,
pare non sia estranea la stessa mano dell'uomo,
ed è probabile,
perché la Dora,
non aveva il suo sbocco a Mazzè,
ma nei pressi di Cavaglià,
in una zona che ancora oggi è conosciuta
come
Francesco Mondino:
"Mazzè memorie della mia terra"
in Canavese,
viene immaginata come
una bella strega,
misteriosa e perversa
che
si servì delle proprie arti e dei propri poteri
per commettere nefasti
e infami crimini.
Si narra infatti che la regina Ypa
si fosse innamorata di
un suo schiavo,
e che, non corrisposta,
per disfarsene,
Ordinò ai propri schiavi,
a loro volta sottomessi
all'innamorato,
e di scavare un nuovo letto della Dora.
Quando
i lavori furono pressochè ultimati,
che a monte mantenevano
le acque nel loro antico letto.
Il fiume seguì il suo nuovo corso,
deviando
verso Mazzè.
Gli schiavi tra i quali c'era l'amante della
furono colti inaspettatamente dal traboccare delle acque che
e vi trovarono la morte.
Alcuni studiosi di storia canavesana,
non escludono l'esistenza e il prosciugamento del grande
lago,
ma sostengono che lo svuotamento del
possa essere avvenuto per la necessità di trasformare
la vasta conca
in una grande e fertile pianura.
Si racconta
anche
che la regina Ypa
rivaleggiasse con
un'altra regina di Vercelli,
proprietaria di una estensione di terre fertilissime,
solcate da lunghe strade attraverso le quali si dilettava a scorazzare su veloci
cavalli.
Invidiosa della monarca confinante,
Ypa non esitò a mettere
in atto il suo progetto diabolico,
trasformando il proprio regno senza terre
in una enorme distesa di prati e campi fioriti e fecondi.
Pare tuttavia, che
la regina Ypa
poco abbia goduto del suo
sogno,
perché Giove,
accortosi della scomparsa del lago,
volle punirla,
entro i confini del suo regno,
costringendola a fare ammenda della sua rivolta
con una
lunga espiazione.
Ritorniamo alla storia,
e notiamo che al tempo in cui i romani
si spinsero in questa regione,
pare che vi fossero delle terre non completamente
asciutte.
Lo starebbero a dimostrare le strade da essi costruite,
poste tutte
ad una certa altura, incastrate sui fianchi elevati dei monti e delle colline.
Esistono diverse versioni della leggenda
della regina Ypa, ecco quella di
Livio Barengo,
sia per i temi epico-passionali contenuti
che
per la probabile autenticità di una parte dei fatti,
è senza ombra
di dubbio la saga più significativa creata dalle antiche genti canavesane.
La versione odierna è indubbiamente il risultato di una commistione
tra
l'antica leggenda
ed una sua riscrittura dotta ottocentesca,
introducente vari
nuovi elementi e forse il nome stesso della regina.
Poiché è quasi
impossibile scindere tra le varie fonti,
mi attengo alla versione comunemente
accettata e raccontata,
inserendo la vicenda in un periodo storico congruo.
Le eventuali dissonanze
sono causate
dal fatto che della leggenda esiste una vulgata per ogni paese,
spesso con caratteristiche
proprie tendenti a nobilitare il paese stesso.
LA LEGGENDA
Un tempo,
quando i Liguri lavoravano
il bronzo e la pietra,
tutta la pianura
che si estende tra Ivrea e le colline
di Mazzè
Le sponde dello specchio d'acqua erano le alture dell'anfiteatro morenico
creato
dal ghiacciaio valdostano,
la Dora ed il Chiusella
erano i suoi immissari
mentre
l'unico emissario
era una ramo della Dora stessa
che, nei pressi di Azeglio,
scaricava l'acqua in eccesso.
L'ultima glaciazione
aveva ostruito
impedendo all'acqua di incanalarvisi,
salvo che
nei momenti di piena,
quando il livello
era tale da permetterle di superare
l'ostacolo e ripercorrere il suo antico letto.
La profondità del lago,
a parte alcuni punti,
non era molta
e tutto lo specchio d'acqua
era più che altro
una grande palude,
ma per le popolazioni che abitavano le sue sponde
era un lago a tutti gli effetti,
d'altronde nessuno di loro ne aveva mai visto
uno vero e
quindi erano senza termini di paragone.
I Liguri
traevano dal
lago
pesci ed uccelli,
vimini per le ceste ed ogni sorta di piante acquatiche.
D'altronde non erano numerosi
ed essendo sostanzialmente un popolo di raccoglitori-allevatori,
la loro situazione era soddisfacente
e bastava ad ogni esigenza della vita.
Un giorno
prima episodicamente,
poi sempre più numerosi,
incominciarono
ad affluire stranieri da oltre i monti.
Essi commerciavano i loro manufatti
scambiandoli con prodotti locali,
creando a questo scopo
dei mercati in località particolari
e ponendoli sotto la protezione di un loro dio
o più spesso
di una loro dea.
In un primo periodo gli stranieri,
una sorta di cavalieri
migranti,
alla fine dell'estate,
ripartivano per le loro terre
per tornare
nella primavera successiva;
poi quando un buon numero di loro
fu sposato con
donne del luogo,
misero su casa
e si stabilirono sulle rive del lago.
Gli stranieri
volevano essere chiamati
Celti
ed erano alti, biondi o rossi di capelli e con gli occhi azzurri,
ottimi
artigiani e grandi guerrieri.
Nel giro di qualche generazione
i due popoli si
fusero pacificamente,
a parte qualche tafferuglio
causato dalle donne liguri,
più interessate ai nuovi venuti
che agli uomini della loro stirpe.
I
Celti
portavano con loro grandi novità,
lavoravano il ferro,
estraevano
l'oro dai fiumi
e cosa più importante
coltivavano la terra
per ottenerne
i prodotti.
I morti dei Celti
venivano inumati
e nella loro religione,
oltre
agli dei maschi,
erano adorate
dee potentissime
con sacerdotesse
di grande prestigio
consacrate al loro culto.
In breve,
dopo circa due secoli dalla loro prima comparsa
non si poteva più parlare di
Celti o di Liguri,
la loro fusione aveva
dato luogo ad un nuovo popolo
erede delle ambedue culture precedenti.
Il territorio
dei Salassi,
così voleva essere chiamato il nuovo popolo,
che si estendeva
su tutte le rive del
ed era
governato da
sacerdotessa della
e regina della sua gente.
era bella, intelligente, volubile e crudele,
non aveva marito
in quanto la religione
non lo consentiva
Tutti sapevano però, che ogni tanto si incapricciava di qualche
giovane,
avendo poi con lui amori brevi e tempestosi.
Col tempo, date le buone
condizioni ambientali,
il popolo di Ypa aumentò di numero.
Fatalmente
venne il giorno nel quale gli anziani della tribù
si recarono a
Mattiacus,
uno degli antichi luoghi di mercato,
dove,
nel luogo dedicato alla
Dea,
viveva la regina-sacerdotessa.
Intenzione dei capi
era di supplicare
di chiedere alla dea
quale decisione era meglio prendere
in quanto il
lago e le terre circostanti
non potevano più accogliere altre persone.
La dea Mattiaca,
ed
Ypa
per lei,
in quanto sua
sacerdotessa,
doveva decidere
se far migrare il suo popolo verso nuove terre
come era tradizione
oppure tentare di bonificare il lago
per mettere a coltura
le
terre che sarebbero emerse,
in maniera di poter sfamare coloro che sarebbero
nati.
La regina,
considerato che migrare
sarebbe stato oltremodo difficoltoso
in quanto la strada verso il sud
era sbarrata dalla gente della
regina di Vercelli,
sua acerrima rivale,
decise che la miglior soluzione
era quella di bonificare
la palude
facendo
ripristinando così l'antico corso del fiume,
come già avveniva quando le alluvioni alzavano sufficientemente il livello
del lago.
La regina
mise a capo dei lavori di
bonifica
il suo amante del momento,
un giovane capace ed intelligente,
del quale
purtroppo non si conosce il nome.
Questi incominciò a far costruire canali,
e scavare una galleria sotto la forra di Mazzè
perché le acque potessero defluire
verso sud ripercorrendo
l'alveo abbandonato tanto
tempo prima.
Per la tribù,
essendo il suo nucleo principale stanziato
a
Mattiacus
luogo elevato a valle della forra,
in una zona dove venivano fatte
le
ricerche aurifere,
l'operazione non avrebbe dovuto presentare pericoli
a
patto che si potesse controllare il deflusso delle acque del lago.
I lavori
proseguirono per vario tempo,
e dopo vari
anni con l'aiuto della dea,
si arrivò al momento in cui sarebbe stato
possibile
far scorrere l'acqua dentro di essa.
Nel frattempo però
Ypa
si era
incapricciata di un altro giovanotto
ed i rapporti col suo vecchio amante,
ormai
personaggio di grande prestigio
tra il popolo
per le capacità dimostrate
nei lavori di bonifica,
si erano deteriorati al punto
che la regina aveva in
animo di sostituirlo con il suo nuovo compagno.
Il nostro uomo,
forte della
stima della gente,
non intendeva certamente essere messo in disparte supinamente
e non mancava occasione per dimostrare che non si sarebbe sottomesso ai voleri
della regina.
Normalmente quando si presentavano situazioni di questo tipo
il
poveretto spariva senza lasciar traccia,
ma questa volta era diverso:
l'uomo
era troppo noto e benvoluto
per sparire nel nulla.
La regina doveva quindi seguire
un'altra strada per sbarazzarsi di lui,
tanto più che il sostituto era
già pronto in docile attesa.
La regina Ypa
decise quindi che l'amante
ormai scomodo doveva scomparire accidentalmente,
magari tramite i lavori così ben diretti sino ad ora,
il popolo non doveva averne un buon ricordo,
i fantasmi
sono sempre pericolosi.
La sacerdotessa decise quindi di
a monte della forra
in modo che le acque
invadessero la galleria
ed il poveretto e gli operai che erano con lui morissero
annegati.
La crudele sacerdotessa
così fece,
ma gli dei furono ancora più perfidi di lei,
e non contenne
più le acque del lago
che la scardinarono completamente
invadendo la
galleria
ed annegando tutti gli occupanti.
erodendo la forra e
solo Ypa ed alcuni maggiorenti,
vivendo nella parte più alta dedicata agli dei, si salvarono.
non fu senza conseguenze
per la regina,
le cui responsabilità su quanto accaduto emersero subito,
in quanto i sicari parlarono
e la coinvolsero
nel disastro,
nel quale oltretutto era morto anche il suo nuovo amante.
Gli
anziani ed i capi della tribù
consci che Ypa non poteva essere né
giudicata né condannata dai comuni mortali,
rivolsero alla dea preghiere
perché fosse lei a fare giustizia
e questa,
come nello stile di
arrivò puntuale ed inesorabile.
Qualche mese dopo
con la tribù che si era in qualche misura riorganizzata
ed il lago aveva quasi completato lo svuotamento,
sollecitata dai consiglieri
decise di recarsi a vedere quanto restava
delle acque stagnanti
e quanto terreno coltivabile fosse già emerso.
e partì
ma arrivata nella parte più alta della forra
trascinarono il carro nell'abisso
e con esso Ypa
che perì nella Dora,
la stessa maniera nella quale aveva condannato a
morire quasi tutto il suo popolo.
per lungo tempo
in modo che essi,
alla vista dell'acqua,
impazzissero
senza curarsi dei pericoli.
Si dice che
che però per ordine di
non ritroverà mai più.
Come detto nella prefazione
certe parti
della leggenda
sono sicuramente romantiche,
la parte finale che tratta del
ne è un esempio tangibile,
forse anche la forte passionalità
insita nel racconto ha la stessa origine.
L'impianto generale della saga
è
però sicuramente antico,
sia perché la prima notizia scritta
della
esistenza del grande lago,
risale al XIV secolo
per merito dell'Azario,
ben prima dell'epoca romantica,
e sia per la qualità dei protagonisti
riconducibili certamente alla tradizione celta.
Ypa stessa,
posto che questo sia stato realmente il suo nome,
ha tutte
le caratteristiche della
la Morrigan o Morgana irlandese antica,
la capostipite di tutte
le streghe e le regine-fate della tradizione canavesana.
Il comportamento amoroso della sacerdotessa,
ricalcante quello tradizionale della Dea,
nella cultura celta era tollerato:
la sua colpa
è quella di averlo spinto al di la del limite
oltre il quale
nemmeno
poteva perdonarla.
Lo stesso nome di Mattiacus
(Mazzè in antico)
riconducibile a
è quindi ipotizzabile che il paese abbia avuto questa origine.
D'altronde
i recenti ritrovamenti archeologici sembrano confermare questa tesi.
Barengo Livio
ALTRA
VERSIONE DELLA LEGGENDA DELLA REGINA YPA
LA
DANZA
LUOGHI
MISTERIOSI
SULLE
TRACCE DI YPA
E
PERCHE' NO: ANCHE I FUMETTI!!!
IL
CURIOSONE
IL
FILM
PETRI AZARII
JACOBI F.
DE BELLO
CANEPICIANO
PIETRO AZARIO
(1312-1367)
Traduzione
a cura del LIONS CLUB di Ivrea
Ivrea 23
Aprile 1970
Le guerre del Canavese - De bello canepiciano
Il notaio Pietro Azario, nato a Novara nel 1312,
tra i suoi numerosi scritti ha prodotto
il
"De bello canepiciano",
un'opera originale ed importante per
il nostro territorio,
perché narra le vicende riguardanti
le guerre feudali svoltesi nel periodo mediano del secolo XIV°.
I LAGHI
DEL CANAVESE
Un tempo
tutta la conca, che da mezzogiorno della città di Ivrea si stende fino
ai monti, era occupata da un grande lago, che comprendeva tutta la pianura.
La Dora, mescolando le sue acque con quelle del lago, defluiva sotto Mazzè
verso Rondissone, dove oggi è un guado sabbioso che è l'unico
nella terra del Canavese......
TRADUZIONE DI
ILO VIGNONO E PIETRO MONTI