IL MULINO DI VIA CASTONE
"Il mulino di Via Castone"
Olio su tela
Roberto Fogliatti
Tratto dal libro
"Mazzè memorie della mia terra"
di Francesco Mondino
Gli influssi della Rivoluzione francese
e dell'invasione dell'esercito Napoleonico sul nostro territorio.
Negli ultimi anni dell'ottocento, gli ideali nati dalla rivoluzione
francese, giunsero fino a noi con un crescente tambureggiare, inculcando negli
animi, il concetto che tutti gli uomini nascono uguali. La teoria dell'uomo
suddito, del dovere di ciascuno di servire il proprio principe, non era più
accettata. Essa traeva la sua linfa dai nuovi rivolgimenti della vicina Francia,
e diventava portabandiera della ribellione contro il dispotismo delle istituzioni
e di certi ceti aristocratici, per portare avanti un processo evolutivo nei
rapporti tra cittadino e stato.
La filosofia della rivoluzione francese, egualitaria nella
concessione dei diritti personali e politici della persona, stava minando le
basi di tutti quegli ordinanmenti che sopravvivevano al feudalesimo, iniziando
un processo di liberalizzazione dei cittadini dalla schiavitù dei privilegi.
Rimaneva, tuttavia, la miseria, per la quale non si intravedeva
una soluzione vicina. Il suo problema cominciava a destare un interesse sempre
maggiore, e ci si chiedeva se era possibile riorganizzare la società,
in modo da eliminare le disuguaglianze economiche con una più equa ridistribuzione
delle ricchezze. Negli strati più bassi della popolazione, cominciò
a serpeggiare la convinzione che un rivolgimento politico avrebbe permesso "al
suddito di bere il vino del padrone e alla suddita di vestire gli abiti della
sua signora."
Sopravvenuti in Italia Napoleone Bonaparte e l'invasione francese,
gli anni che vanno dal 1796 al 1798 videro lo sconvolgimento dell'assetto italiano.
Era il crollo di un regime e di un ordine politico, una nuova classe politica
si affacciava alla ribalta, fedele a verità nuove.
Le vecchie nobiltà perdevano le posizioni di privilegio,
ma detenevano ancora le ricchezze e conservavano economicamente e socialmente
un forte peso sulla vita del paese. Aprendosi gradatamente alle correnti innovatrici,
davano l'avvio ad un moto di rinnovamento.
Le stesse guerre combattute dai napoleonici sul nostro territorio,
erano state un lievito di trasformazione. Anche se i vincoli e le imposizioni
del dominatore incidevano fortemente sui nostri interessi, si consolidava un
più intenso ritmo economico e si affermava un più largo e consistente
ceto borghese.
L'invasione francese, mutava così, tutta l'organizzazione
e la vita politica italiana, la cui base si alimentava e si accresceva senza
alcuna distinzione di ceto.
I grandi principi del 1789, il concetto di democrazia e di
sovranità popolare, sostenevano la svolta decisiva nella storia italiana.
La lunga attesa, aveva fatto presagire questa rivolta politica
, e la scintilla rivoluzionaria, stava dunque per scoppiare anche nei piccoli
centri come il nostro.
Ribellione aperta al conte Valperga di
Mazzè
Anche la popolazione di Mazzè era assoggettata alle
prerogative feudali e costretta a gravi sacrifici e imposizioni, completamente
alla mercè dei nobili locali, i quali oltre che a pretendere il pagamento
delle varie imposte, sotto forma di canoni, censi e livelli, erano anche gli
esclusivi proprietari di tutti gli "artifizi" esistenti nel territorio
e necessari alla vita della collettività, come i forni, i mulini, i porti
sui fiumi, dei quali i mazzediesi erano costretti a servirsi versando un oneroso
pedaggio.
I mutamenti politici avvenuti sul finire del XVIII secolo,
ebbbero un benefico riflesso sulla popolazione, e diedero l'avvio ad un primo,
parziale rinnovamento delle barbare consuetudini feudali.
Editto del 19-7-1797 sulle soppressioni
delle "bannalità"
Un editto del 19-7-1797, interpretando gli ideali di libertà
scaturiti da tale rivolgimento, soppresse ogni forma di "bannalità"
relative ai forni e ai mulini.
Tale innovazione, mal sopportata dai feudatari,, fu ancora
ribadita da un'altro editto del 2-3-1799 (12 ventoso - anno 7), durante il governo
provvisorio,dopo la rinuncia di Carlo Emanuele IV, costretto dai Francesi a
lasciare il Piemonte e a stabilirsi a Cagliari.
Forti di questi editti ed un po' incoraggiati dai mutamenti
politici che si susseguivano con sempre maggiori programmi di rinnovamento,
i contadini di Mazzè costruirono, nel mese di dicembre 1799, un proprio
mulino in via Castone,
nelle immediate vicinanze dell'alveo della roggia comunale, con lo scopo di
sfruttare l'acqua come forza motrice e di avviare un'azienda molitoria per la
macinazione dei prodotti agricoli.
L'iniziativa mirava a liberare i contadini dall'obbligo di
ricorrere forzatamente all'industria del conte Valperga, ed era nata sull'esempio
di molte altre Municipalità del Piemonte, fra le quali, per citare alcuni
centri limitrofi, quella di Candia, e quella di San Giusto.
Nei memoriali che seguirono alla lunga e combattuta controversia,
sorta per il diritto di possesso e di gestione, sono pure citati i centri di
Staffarda, di Ormea e di Cazzone, non meglio identificati.
La reazione del conte Valperga, in seguito
alla riduzione delle proprie entrate, dovuta alla costruzione del nuovo mulino.
L'opera intrapresa dai contadini, che distoglieva dalle casse
del feudo una buona parte delle entrate fisse, provocò da parte del Conte
un ricorso alla Camera Nazionale, e tanto brigò e fece, che ottenne dal
Giudice di Chivasso il trasferimento sul posto di una mano armata di quaranta
uomini della gendarmeria francese " per far ridurre in ripristino stato
la costruzione".
Per meglio riuscire nel proprio intento, non esitò
a prendere le vie traverse, per mettere nella più fosca luce i fautori
dell'opera, tanto da qualificarli sbirri, il cui fine sarebbe stato, come risulta
dagli atti, "...dare quella clamorosità colla quale cercano sempre
di accompagnare le loro azioni li più accaniti nemici del governo".
La popolazione, tuttavia, che era vissuta per lungo tempo
sotto il ferreo cerchio dell'assolutismo e che ormai era persuasa di non poter
più oltre sopportare e soffrire gli abusi di un monopolio anacronistico,
non si lasciò facilmente intimorire e, riprese in mano le attrezzature
che erano sul posto, fu sollecitata a ricostruire il mulino.
L'appoggio dell'Amministrazione comunale
Fu molto incoraggiante in quel particolare momento, l'appoggio
dato dall'Amministrazione comunale, che aveva interposto una petizione alla
Commissione Esecutiva del Piemonte, ottenendo con decreto del 29-12-1800, l'accoglimento
favorevole della domanda inoltrata.
Col concorso di tutti i principali proprietari del Comune,
si fece fronte a tutte le spese, e le loro generose decisioni, vennero assecondate
con premura e con largo consenso a favore anche dalla classe dei meno abbienti,
che concorse con ogni mezzo e con ogni espediente lecito.
Gli abitanti di Mazzè riescono
a far fronte a tutte le spese e il mulino comincia a funzionare
Il mulino cominciò così a girare, e la sua attività
andò avanti normalmente per oltre tre anni. Malgrado che il diritto di
macina fosse stato ridotto a meno della metà rispetto a quello preteso
nel mulino del Conte, vennero pagate gran parte delle somme mutuate.
Ne assunse l'economato, durante questo periodo, Martino Ottino,
il quale, in perfetto accordo ed armonia con gli altri principali proprietari,
acquistò anche i siti su cui l'edificio era stato costruito.
Diritto di gestione e diritto di proprietà:
il mulino viene nuovamente chiuso.
Forse , a causa degli avvenuti cambiamenti in seno all'Amministrazione
comunale, vennero confusi i diritti e gli interessi della comunità, a
cui era solo stata accordata dalla Commissione Esecutiva del Piemonte, l'autorizzazione
della costruzione del mulino.
Il fatto sta che cominciarono nuovamente ad intorpidirsi le
acque, e di questo stato di confusione, ne approfittò il conte Valperga
per contestare non solo il diritto di gestione, ma anche quello di proprietà.
Allo scopo, quindi di trarre miglior partito nel proprio interesse,
il Conte ricorse ancora all'Amministrazione Generale del Piemonte, la quale,
con lettera del 12-5-1805, ordinò al Prefetto di Ivrea di far chiudere
l'edificio.
Benchè rimanesse, da quel momento, inattivo per molti
anni, in attesa della definitiva decisione del Tribunale competente, il Martino
Ottino, continuò sempre ad abitarvi e a macinare, di quando in quando,
di nascosto, i cereali per conto di alcuni fra coloro che avevano maggiormente
contribuito alla costruzione del mulino.
Il Conte con le armi occupa il mulino
Si arrivò così ai primi mesi del 1814, e nel
marzo di quell'anno, il Conte senza attendere alcuna particolare decisione in
merito della superiore autorità, scortato dai suoi agenti, e da due inservienti
della Comunità, tutti armati di fucili, si introdusse nel mulino, prendendone
possesso.
Il sindaco gioca un brutto ruolo
All'Autorità locali, indirizzò un memoriale
per giustificare la sua condotta e per illustrare i suoi scopi a fine di bene
"...onde era stato tratto dalle riconosciute necessità della popolazione".
Presentò un atto di sottomissione di certo Paolo Antonio Gassino, il
quale nella qualità di economo eletto (da chi?), si riproponeva di dare
conto della gestione del mulino all'Amministrazione; infine promise (il Conte)
altri corrispettivi da concertarsi e da fissare di comune accordo e, per avallare
queste sue dichiarazioni, fece sottoscrivere l'anzidetto memoriale, da certo
Giuseppe Formia, qualificatosi comproprietario del mulino.
Una simile messinscena, mirava ad un ipocrita giustificazione
dell'arbitrio commesso, a danno della popolazione e consumato con la complicità
di persone compiacenti, le quali avevano, indubbiamente il loro tornaconto.
Si trattava di un'abile mossa alla quale si erano prestati alcuni agenti e amici
del Conte, fra i quali l'allora Maire (sindaco) di Mazzè, sig.Clemente
Corte.
Sembra, e non è difficile capirlo,. che la Comunità
guidata dal predetto sig. Corte, abbia taciuto di fronte al memoriale, anche
perchè, si disse , "ravvisò cauto interessamento nella sottomissione
passata dall'economo Paolo Antonio Gassino".
Ma la falsità e la menzogna, che racchiudeva il documento,
non mancarono di destare un vivo sdegno in coloro che ritenevano leso e violato
un sacrosanto diritto da un atto di prepotenza e di sfacciato arbitrio.
I creditori si ribellano
Il malcontento si manifestò subito e fu reso ancora
più acerbo dall'irrequietezza di alcuni fra i principali sostenitori
della causa del mulino, fra i quali il Martino Ottino, e certi Francesco Anzola,
Antonio Bergandi e Formia Martino, i quali accamparono legittime e provate ragioni
di creditori.
In tale situazione, cominciarono ad esasperarsi gli animi,
a intorpidirsi la tranquillità pubblica, a covarsi propositi di ribellione,
cosicchè fu facile capire che soffiava aria infida e che il disordine
stava per scoppiare.
Il Prefetto di Ivrea concede al Conte
l'autorizzazione di attivare il mulino
Il conte Valperga, subodorando e prevedendo possibili disordini,
valutando meglio la portata del suo illegale procedimento, che rischiava di
compromettere sia la sua posizione che quella dell'autorità locale, a
lui seconda, ottenne con subdoli raggiri, dal Prefetto di Ivrea, un decreto
in data 13 aprile, col quale gli veniva concessa l'autorizzazione ad attivare
il mulino.
La popolazione insorge e occupa il mulino
La notizia si propagò in un baleno. Essa fu la scintilla
che avrebbe scatenato tutta la popolazione in una dimostrazione di protesta
e che sarebbe poi culminata, qualche giorno dopo, in una vera insurrezione armata
contro l'abuso perpretato dal Conte e dai degni soci verso i diritti sacrosanti
della popolazione.
Ne furono capi, i predetti Martino Ottino, Francesco Anzola,
Martino Formia, cui si unirono Antonio Bergandi e certo Luigi Tecchia, i quali,
il 17 aprile, giorno di domenica, dopo le funzioni del vespro, sul piazzale
della Chiesa, arringarono la folla, invitandola a solllevarsi e ad impossessarsi
del mulino, scacciando coloro che vi si erano intromessi controogni buon diritto.
La piazza fu in breve un brulichio di gente di ogni sesso
e di ogni età che, armata di bastoni, di vecchie scibole e di fucili,
gridava e chiedeva giustizia. Una moltitudine di oltre duecento persone, scese
per le vie del paese, accompagnata dalsuono delle campane a martello, raccogliendo
lungo il percorso, largo consenso e approvazione, e si avviò verso la
Via Castone per scacciare gli agenti del Conte, decisa a ritornare in possesso
del mulino, da cui erano stati illegalmente estromessi i legittimi proprietari.
Giunta sul posto, invitò le persone di guardia a riprendersi
le loro masserizie e ad andarsene. Gli occupanti del mulino, non se lofecero
ripeter due volte, giacchè capirono che l'intenzione piuttosto bellicosa
dei soppravvenuti, non offriva loro alcun indugio.
I risvolti giudiziari
Qualche tempo dopo, certo Giacomo Poletto, mugnaio di mestiere
al servizio del Conte, qualificato poi come "avventuriere senza domicilio
ed ignoto nel luogo di Mazzè, dimodochè non merita alcuna credenza",
deporrà a favore del suo signore dicendo che dovette uscire "...subito
unitamente a tutti gli agenti del Conte, giacchè fummo minacciati, in
caso contrario che ci sarebbe stata rotta la testa e li... individui suddetti
volendo difendere un attentato così contrario al buon ordine, si sono
permessi di costituire in detto molino, un deposito di vari fucili e sciabole
per far difesa e opposizione contro chiunque avesse ardito di discacciarli da
detto molino"
A minimizzare la portata dell'avvenimento, si ergeranno poi,
le varie deposizioni fatte a difesa degli insorti, che testimonieranno la inesistenza
dell'istigazione alla rivolta; si dirà anzi, che la dimostrazione seguì
pacificamente, senza armi,senza scandali, senza violenze, e il Poletto verrà
smentito circa la sua affermazione relativa al deposito di armi e munizioni.
E' logico e naturale pensare che gli insorti abbiano adottato
qualche misura di sicurezza e di difesa contro eventuali possibili reazioni
dall'esterno, ma l'assunto che fossero state poste sentinelle di guardia con
l'ordine di sparare contro chiunque avesse osato avvicinarsi,secondo quello
che depose il Poletto, appare come una pura invenzione di coloro che intendevano
rivendicare un diritto inesistente. Lo scopo non era altro che quello di gonfiare
la portata del fatto, per comprire e soffocare le aspirazioni di quanti si erano
fatti parte attiva e diligente, con sacrificio e on duro lavoro, nella costruzione
del mulino.
Insediatisi, quindi, nel mulino, e nominato il loro gestore
nella persona di Martino Ottino,essi iniziarono subito l'attività di
macina, amministrando in nome del popolo e rendendo conto dell'operato alla
Comunità.
La denuncia del Conte e l'arrivo dei carabinieri
Era fatale, però, che la loro azione dovesse essere
troncata appena qualche giorno dopo, in seguito alla denuncia sporta dal Conte.
Il 2 agosto, infatti, il Prefetto di Ivrea, sulla scorta di
cinque carabinieri a cavallo, si portava sul luogo "distante circa un terzo
di miglio da Mazzè", e intimava al Martino Ottino e ai suoi famigliari
di evacuare e sgomberare il fabbricato, sotto minaccia di fare ciò eseguire
coll'appoggio della forza armata.
Il mulino ritorna del Conte, ma i ricorsi
giudizari si susseguono
Al che, non avendo trovata alcuna opposizione, reintegrava
immediatamente nel possesso del mulino il conte Valperga, secondo una ordinanza
camerale di cui si faceva latore.
L'intervento dell'autorità superiore, dava inoltre,
inizio ad un annoso procedimento che si protraeva da lunghissimi anni.
Da una parte stavano coloro che avevano caldeggiato e favorito
la rivolta, dall'altra il Conte con isuoi servitori e agenti e le Maire di Mazzè,
sig.Clemente Corte. Nel giudizio che seguì e che durò per lunghi
anni, i contadini di Mazzè si adoperarono in ogni modo per trattare un
amichevole componimento, ma gli sforzi e la buona volontà di questi,
non fruttarono il beneplacito del Conte, e le cose andarono di nuovo in alto
mare.
Seguirono varie suppliche, quella del 20 febbraio 1816, quella
del 6 marzo 1818, l'atto consulare della Comunità di Mazzè, in
data 11-3-1821 e vari "ragionamenti" della Comunità davanti
alla eccellentissima Regia Camera dei Conti nella udienza del 9-9-1829.
Nel frattempo vennero presentate due proposte , una delle
quali prevedeva la vendita del mulino da parte dei contadini al conte Valperga,
con l'obbligo di quest'ultimo di corrispondere un capitale di L.15.000 a titolo
di corrispettivo sia del fabbricato , sia di ogni altra ragione ad esso connessa;
l'altra contemplava il pieno riconoscimento della proprietà del mulino
ai contadini, con l'imposizione a questi di versare al Conte un canone annuo
a titolo di allibramento perpetuo.
Tali proposte non ebbero migliore fortuna. La vertenza fu
portata davanti al Procuratore Generale di S.M., che in data 10 marzo 1830 dichiarò
"...non essere la Comunità di Mazzè tenuta alla vendita in
favore del sig. conte Valperga del molino del quale si tratta..." e mandò
le parti davanti al Relatore per la definizione delle ultime formalità.
Finalmente il mulino torna definitivamente
ai contadini
Dopo trent'anni, si chiudeva così la causa. Originata
da una sollevazione popolare, sorretta e animata dal proposito di abbattere
le vecchie istituzioni feudali che avevano tenuta schiava la popolazione per
molti secoli, essa si concludeva col pieno riconoscimento dei diritti invocati.
Il mulino, che fu la causa diretta di questa lunga vertenza,
è ancora oggi funzionante e conosciuto comunemente col nome di Mulino
Nuovo.
L'attuale proprietario è il signor Giuseppe Ottino,
forse un discendente di quel Marco Ottino, che tanta parte ebbe nella costruzione
dell'edificio, nella causa seguita, nella sollevazione popolare , e che fu il
primo gestore ed economo.
Il mulino oggi non macina più i cereali dei contadini,
ma è ancora perfettamente funzionante, e a chi desidera vederlo funzionare,
il signor Ottino volentieri fa di nuovo scorrere l'acqua, girare la pala e la
macina.