San Rocco


Nel XVI secolo,

le strade principali che portavano a

Mazzè,

oltre a quella che attraversava la Dora,

erano quelle che transitavano ai piedi della collina

e conducendo a

Vische,

a Chivasso

od a

Caluso.

Non esisteva Via Bergandi,

tant’è che una cinquantina d’anni fa,

questa strada era ancora chiamata

Via Nuova,

a dimostrazione che la sua costruzione era abbastanza recente.


Cessate le guerre tra spagnoli e francesi,

il ducato di

Emanuele Filiberto di Savoia,

ebbe un periodo di pace,

il che indusse gli abitanti del

Borgo di Santa Maria

a migrare verso la pianura,

costruendo case lungo l’attuale

Via Boglietto.

 

Nel giro di qualche decennio

la popolazione aumentò notevolmente,

e per la chiesa locale

nacque il problema

dell’assistenza religiosa

di queste persone,

il che indusse don

Giovanni Antonio Frola,

parroco di Mazzè

dal 1619 al 1641,

ad iniziare la costruzione di una cappella,

ponendola all’intersezione di due importanti vie di comunicazione.


Vista la titolazione,

San Rocco

è un santo originario della

Linguadoca,

nel sud della Francia,

al quale ci si rivolge

per essere protetti

in occasione

d’epidemie e pestilenze,

credo quindi sia corretto datare la

fondazione della chiesetta

al tempo della

peste di manzoniana memoria

(primi decenni del XVII secolo).

 

In ogni caso nel

1651,

al tempo della visita di

Mons. Ottavio Asinari,

la cappella era ancora in costruzione,

ma quanto vide già completato,

permise al prelato di descriverla in termini favorevoli.


A comprova della sua importanza,

la cappella di

San Rocco

ebbe per più di un secolo

un cappellano proprio,

sovvenzionato con un beneficio creato allo scopo,

ma che purtroppo non le permise di elevarsi oltre,

perché oggetto di lite sin dalla sua costituzione.


La sagrestia

fu edificata nel

1798

e in quell’occasione fu anche probabilmente

rimaneggiata

la facciata

nelle attuali forme settecentesche.

 

All’interno da vedere

in un ambiente di rara eleganza,

le statue di

San Rocco,

San Giuseppe

e della

Madonna con bambino,

la prima forse opera dello scultore

Gaspare Angero da Verolengo.

 

L’ultimo restauro,

eseguito nel

1973

per opera dell’allora parroco

Don Cesare Gallo,

interessò più che altro la sistemazione dell’altare e del presbiterio,

nonché la bussola d’entrata.


Particolare curioso,

sono le

due colonne

di fattura grezza,

probabilmente ritrovate sul posto o nelle vicinanze

al momento della costruzione,

ed inserite in facciata senza aver nulla a che fare,

con la struttura dell’edificio.

 

Forse sono il ricordo

della vigna

che un tempo copriva la strada davanti al tempio,

giungendo sino allo stabile

che ora ospita

la pasticceria Mattea.

Particolare agreste che lascio volentieri all’immaginazione del lettore.


Barengo Livio
Novembre 2004