SAN ROCCO

Fu la prima cappella edificata nella piana ai piedi del poggio su cui sorgeva il paese medievale, quando la situazione generale lo permise, e la sua costruzione data, come tutte le chiese dedicate a san Rocco, santo ritenuto dotato di virtù taumaturgiche, al principio del XVII secolo al tempo della peste di manzoniana memoria. Ma oltre a questa caratteristica, è la prova tangibile della migrazione che portò la maggior parte della popolazione di Mazzè ad abbandonare il ricetto sulla collina ed a stabilirsi in pianura.

A favore di questa chiesa, che in alcuni periodi poté permettersi la presenza di un cappellano, nel 1696 il conte Bartolomeo Corte costituì un beneficio, con l'obbligo di celebrare due messe alla settimana, riservandosi anche il diritto di nominare i priori che l'avrebbero gestito. Restaurata e ampliata nel 1854, la chiesa fu dotata in quella occasione di una bella facciata neoclassica, sulla quale vennero inserite due fatiscenti colonne in pietra a titolo ornamentale (MONDINO F. – B/71).

Recentemente si è avuto notizia, che le due colonne (11) utilizzate in facciata erano in origine il supporto di un porticato abbattuto al momento dell'ampliamento (notizia di Gaspare Curtetto) forse ritrovate tra i resti della romana Mattiacum in regione Piloni adiacente la chiesa dei santi Lorenzo e Giobbe. Altro particolare curioso è che sino a poco prima della fine della I Guerra Mondiale, una vigna a pergolato (topia) poggiava su queste colonne e attraversava la Via Vische sino alla casa antistante.

All'interno della cappella di san Rocco si conservano statue della Vergine con il bambino Gesù e di san Rocco. Una grande pala ovoidale con gli stessi soggetti è posta oltre l'altare, in quello che si può definire un piccolo presbiterio.

La cappella di san Rocco, fatta restaurare ottimamente nell'anno 1973 dal parroco don Cesare Gallo, mantiene tuttora le sue funzioni nei confronti della popolazione residente nella parte bassa del paese, quasi che la gente, a causa della origine nobiliare della parrocchiale, abbia ancora un'inconsapevole ritrosia a frequentare la nobile chiesa dei santi Gervasio e Protasio.

 

CHIESE E CAPPELLE DEL CAPOLUOGO

Nella tarda antichità, al di fuori dei grandi centri urbani la propagazione del cristianesimo avvenne molto lentamente. Si pensi che la diocesi di Ivrea è probabilmente stata scorporata da quella di Vercelli nel IV secolo d.C., all'epoca di san Eusebio, ma si è storicamente certi della presenza di un vescovo eporediese (1) solamente nel 451 d.C.

Quando il processo di evangelizzazione progredì, nelle campagne nacque la necessità di gestire le esigenze dei fedeli e, mentre nelle città era sufficiente inviare sacerdoti ad officiare messe e imporre sacramenti in cappelle sussidiarie di quella madre, all'esterno delle mura cittadine fu necessario creare una rete di chiese di primo livello in grado di gestire il diffondersi della dottrina cristiana.

Nell'Italia settentrionale il problema del coordinamento tra le varie comunità cristiane che man mano sorgevano nel circondario fu risolto, sulla falsariga di istituzioni amministrative romane e bizantine già esistenti, con la creazione di pievi (2), che pur mantenendo anche compiti civili come riscuotere le tasse e altre incombenze, curassero in primo luogo la gestione delle chiese nate nei centri sussidiari. Ricordando che sino al IX e X secolo d.C., epoca delle scorrerie di Ungari e Saraceni in Canavese con il conseguente inizio del fenomeno dell'incastellamento, anche se dotati di altisonanti nomi latini i centri abitati non erano altro che cascine isolate, è facile comprendere che una tale frammentazione giustificava ampiamente una simile organizzazione capillare.

A tutt'oggi non si conosce l'esatto criterio che seguirono i vescovi di Ivrea nel localizzare le pievi (VIGNONO I. e RAVERA G. B/103). Forse furono scelti luoghi dove esistevano consistenti gruppi di fedeli e strutture in grado di ospitarle (3) o più probabilmente furono poste lungo le vie di origine romana ancora in attività. E' però certo che lungo i confini delle diocesi sorsero delle pievi per impedire la trasmigrazione dei fedeli verso quelle adiacenti. Tale furono ad esempio la pieve di Uliaco (Villareggia) e di Rondissone, ambedue ai limiti dalla diocesi di Ivrea.

La specificità delle pievi era principalmente dovuta alla presenza di un pievano, sacerdote di livello superiore ai semplici rettori o parroci, abilitato a somministrare ai fedeli i sacramenti, mentre i rettori delle chiese sussidiarie non ne erano autorizzati. Se ad esempio un bambino nasceva a Mazzè genitori dovevano portarlo alla pieve di Vische per battezzarlo, e lo stesso avrebbe dovuto fare da adulto per ricevere il crisma. Questa situazione si perpetuò sino al XIII secolo, quando i rettori e i parroci, a causa delle mutate condizioni sociali e politiche , ottennero gli stessi attributi dei pievani.

Per effetto di questo tipo di organizzazione, le chiese di Mazzè da un canto, e quelle di Macelio e degli altri piccoli borghi isolati che unendosi crearono Caluso dall'altro (CAVAGLIA' G. – B/30), dipendevano dalla pievania di Vische, probabilmente nata in questa località perché posta sull'antica strada militare Quadrata-Eporedia, e forse anche perché già nel VI secolo d. C. a Suavia (4) era sorta una chiesa dedicata a san Pietro.

Particolare è il caso di Rondissone dove è documentata l'esistenza di una pievania priva di chiese collegate. Come già citato la sua nascita fu probabilmente dovuta al fatto che anche Rondissone era localizzato sull'antica strada militare e posto ai confini della diocesi d' Ivrea. Di questa pieve però non si conosceva molto, il che ha fatto nascere l'ipotesi che potrebbe trattarsi della fantomatica chiesa di san Pietro, erroneamente attribuita a Rondissone nel Liber Decimarum. Recentemente però Armando Bua (BUA A. – B/25) nella sua opera sulla storia di Rondissone cita l'esistenza di una cappella medievale che sino al XVIII secolo ebbe le funzioni prima di pieve e poi di parrocchia, poi demolita per far posto alla nuova chiesa parrocchiale, il che a nostro parere pone termine alle illazioni.

Il principale assertore di questa tesi fu don Pietro Solero (SOLERO P. – B/96), che nel suo manoscritto sulla storia di Tonengo, pur in mancanza di documenti che lo comprovassero, propose l'ipotesi che la chiesa di san Pietro potesse essere stata la pieve che il Liber Decimarum attribuisce a Rondissone. La tesi non è così peregrina come può sembrare, perché la zona su cui sorse questa fantomatica chiesa è indubbiamente più vicina a Rondissone che a Mazzè, e considerato che sino alla seconda metà del XVI secolo i confini tra i due comuni non erano ancora stati delimitati, era possibile fosse stata attribuita per errore alla località meno distante. A onor del vero una parrocchia di san Pietro viene citata in Eporedia Sacra (5), rivista curata nel 1887 dal canonico Giovanni Saroglia (SAROGLIA G. – R/1), la notizia però risulta tratta dalle Passeggiate nel Canavese di A. Bertolotti il quale nel libro però chiarisce che è unicamente la tradizione a fornire la notizia.

Ad ogni buon conto lo stesso Liber Decimarum, nella sua elencazione di tutte le chiese della diocesi di Ivrea esistenti negli anni 1368 – 1370 non menziona una chiesa di san Pietro né a Mazzè né a Rondissone, confermando quindi l'ipotesi che, se in antico, una tale chiesa è realmente esistita essa è andata distrutta in epoca remota. Un' ipotesi surrettizia, in parte confermata dalla tradizione e dalla mappa redatta nell'anno 1576 in occasione della delimitazione dei confini tra Mazzè e Rondissone, recita che la cappella di san Pietro di cui permane il ricordo a Tonengo e a Casale, non fosse quella di epoca alto medievale ma una sua riedificazione successiva, poi andata anch'essa distrutta dopo l'abbandono del piccolo borgo da parte degli abitanti (vedi quarto capitolo f.t.).

Nel 1368 il Liber Decimarum già citato enumera a Mazzè quattro chiese dipendenti dalla pievania di Vische: Santa Maria, San Lorenzo, san Gervasio e quella del Ponte. Le decime a favore del vescovo di Ivrea erano rispettivamente di 7 soldi e 9 denari, 2 soldi e tre denari, 4 soldi e sei denari, mentre la chiesa del Ponte non aveva decima.

Come si può dedurre dall'importo delle decime, la chiesa di maggiore rilievo era quella di Santa Maria, più tardi anche chiamata “parochialis calvis”, da cui erroneamente “Chiesa delle Vigne Calve” e non “Chiesa tra le vigne” come sarebbe corretto. Era pure parrocchiale la chiesa gentilizia dei conti di Mazzè titolata a san Gervasio, a cui venne aggiunto successivamente anche quello del fratello Protasio. Infine era parrocchia anche la chiesa di san Lorenzo, situata secondo il Liber Decimarum vicino alla Dora Baltea “extra villam in loco dicitur in casso” (6), titolo a cui fu poi aggiunto anche quello di san Giobbe quando nel XVIII secolo assunse le funzioni di lazzaretto, anche quello di san Giobbe.

Ognuna di queste tre chiese era autonoma e disponeva di rettori e di rendite proprie. Per quanto concerne la chiesa del Ponte gestita dalla congregazione dei Pontari, titolata a santa Maria Maddalena, avendone già parlato diffusamente nel quarto capitolo, si aggiunge unicamente la notizia che nel 1401, alla morte del chierico Giovanni De Anti detto il Tarignola, fu unita alla chiesa di santa Maria di Castiglione presso Candia.

Nel 1349 la chiesa di san Lorenzo, già citata in un documento del 1236, venne unita provvisoriamente a quella di san Gervasio (MONDINO F. – B/72), a motivo che era “dirupta” e il sito era ormai disabitato perché “iam dudum propter guerrarum pericola (7)” e i parrocchiani “se transtulerunt in villa mazadii ab eo tempore cuius memoria non existit (8)” tanto che le rendite della chiesa erano “tenues et exilles” e non più congrue al sostentamento di un rettore (VENESIA P. – B/101). L'unione divenne successivamente definitiva e il titolo di san Lorenzo fu unito a quello della chiesa di san Gervasio. Da questo atto è facile dedurre che il trasferimento dei fedeli nel paese medievale costruito al tempo delle scorrerie Ungare alla sommità della collina di san Michele, era ormai stato completato da molto tempo, e il sito dove sorgeva l'antico abitato romano di Mattiacum, era completamente in rovina.

In origine i patroni di Mazzè erano santa Maria (9), san Gervasio e san Lorenzo. Dopo varie vicissitudini si ridussero al solo Gervasio al quale fu poi aggiunto in epoca moderna anche il fratello Protasio, ambedue legionari milanesi forse martirizzati al tempo di Nerone (10). A questa decisione non dovettero essere estranei i conti di Mazzè, i quali seguirono la tradizione secondo cui i patroni di feudi appartenenti a famiglie nobili di origine franca o longobarda, dovessero essere riconducibili a origini guerriere. Successivamente prese piede la data dedicata a Maria Assunta, in origine ricorrenza limitata al solo borgo di santa Maria, e i due santi patroni milanesi passarono in secondo ordine, tanto più che la loro presenza era politicamente scorretta nei confronti dei duchi di Savoia.

Passando ad una analisi storico artistica delle chiese di Mazzè, considerata la scarsa documentazione disponibile, si deve trarre supporto solo da pochi elementi architettonici secondari ancora esistenti, tanti sono i rimaneggiamenti avvenuti nel corso del tempo.

NOTE

(1) Tradizionalmente si considera Eulogio primo vescovo di Ivrea, un personaggio di cui si ha certezza storica, avendo partecipato nel 451 d.C. in questa veste ad un Sinodo svoltosi a Milano. E' però possibile che prima di Eulogio si siano succeduti dei vescovi di cui non è rimasta traccia.

(2) Pievi – Dal latino Plebs (plebe, popolo). Le pievi erano strutture amministrative già esistenti ai fini civili nel tardo impero romano, poi trasmigrate in ambito religioso per motivi contingenti.

(3) Tipico esempio è la pieve di Candia, dove in precedenza esisteva già sicuramente una chiesa tardo antica titolata a san Michele.

(4) Suavia – Il nome è dovuto alla translitterazione del nome dei fondatori, forse degli Svevi, mutato prima in Suavia poi in Savoia. In epoca moderna questa grande cascina assunse il nome di Luisina.

(5) “ (Mazzè, n.d.a.) ha un antico castello che spettò dapprima ai conti del Canavese, poscia ai Comune di Vercelli ed in seguito ai conti Valperga, venduto al conte san Marzano. Dei Valperga di Mazzè è Bonifacio vescovo di Aosta, che fu venerato come santo alla sua morte, avvenuta nel 1245. Ha tre frazioni che sono Tonengo, Barengo e Casale, con una popolazione di 3800 anime. Anticamente eranvi le parrocchie di santa Maria, di san Lorenzo e di san Pietro, le quali subirono varie trasformazioni. Addì 25 agosto 1349 nel castello di Borgomasino il Vicario di Mgr. Giacomo unì la chiesa di san Lorenzo, situata fuori del paese, alla chiesa di san Gervasio in perpetuum con obbligo al rettore di questa di celebrare alcune volte all'anno in quella di san Lorenzo. L'anno 1351, il 28 aprile, Mgr. Giacomo, sperando tempi migliori, non volle per allora approvare tale unione: però necessitate que legi non subiicitur instigante, concesse la chiesa parrocchiale di san Lorenzo in commenda in vitam al prete Giovanni, rettore di san Gervasio. La parrocchia di santa Maria fu sospesa circa nel 1500, ed il visitatore apostolico nel 1585 la trasferì alla chiesa dei santi Gervasio e Protasio, la quale è la presente, migliorata dall'attuale prevosto e che vuolsi fosse una piccola cappella del vassallo” (SAROGLIA G. – R/1).

(6) ”Fuori del paese in un luogo detto sconvolto” (VENESIA P. – B/101). Il termine sconvolto è indubbiamente detto a proposito dell'area adiacente alla chiesa di san Lorenzo, e sicuramente intende i ruderi dell'abitato di Mattiacum e gli scavi dalla aurifodina poco distanti.

(7) “Così ridotto a causa dei pericoli della guerra” (VENESIA P. – B/101). Questo periodo conferma che il sito fu abbandonato dagli abitanti perché soggetti senza rimedio a tutti i pericoli derivanti dalla guerra.

(8) “Si sono trasferiti nel paese di Mazzè, in un momento di cui si è perso il ricordo” (VENESIA P. – B/101). Anche questa frase é molto significativa perché lascia intendere che l'abbandono dell'antica Mattiacum era avvenuto talmente tanti anni prima che non ne esisteva più memoria.

(9) “ Chiesa di santa Maria di Mazzè, soldi 7 denari 9. Era chiamata in loco s. Maria delle vigne calve (AVI, VI, 22 , f 213; cfr Archivium Augustanum vol II, pag. 146 ove pare che si dovrebbe leggere “parochialis calvis” anziché “parochialis calicis”) ed era l'unica parrocchiale di Mazzè. Cessò di funzionare verso l'anno 1500, e nel 1585 il Visitatore apostolico la trova già unita alla chiesa dei ss. Gervasio e Protasio. Santa Maria, san Lorenzo e san Gervasio erano tre santi patroni, con tre chiese distinte, di Mazzè: si unirono via via le chiese, e si conservò all'attuale parrocchiale il titolo del terzo patrono, unito sempre a san Protasio. (AVI, VI, 7, f . 206; AVI, VI, 12, f . 1060; Gnavi, p. 10)” (VIGNONO I. e RAVERA G. – B103). Se il nome esatto latino di santa Maria era “parochialis calicis” e non “parochialis calvis”, considerato che calicis è il genitivo di calix (calice, catino), allora il titolo esatto della chiesa dovrebbe essere chiesa di Santa Maria tra le vigne.

(10) I santi Gervasio e Protasio sono con san Ambrogio i patroni di Milano. I corpi di Gervasio e Protasio furono rinvenuti dal santo vescovo grazie ad una visione che gli permise di localizzare i luogo della loro sepoltura. Ambrogio, che era particolarmente devoto a questi due protomartiri, al momento della morte volle essere seppellito assieme ai loro resti. Storicamente i ricordi di questi due santi non risalgono oltre la prima metà del IV secolo e il loro martirio non può essere sicuramente fissato. La Leggenda Aurea li vuole figli di Vitale e Valeriana, patrizi ravennati.

(11) Non è possibile attribuire una età definita a queste due colonne, anche per il fatto che paiono incomplete, o perlomeno molto rovinate e grezze. Crediamo sia possibile azzardare l'ipotesi che provengano dalla demolizione di qualche antico edificio di Mattiacum e riutilizzate per sostenere il porticato della originaria chiesa di san Rocco, poi successivamente collocate in facciata come motivo ornamentale al momento dell'ampliamento.

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